Al vertice di Ventotene che si aprirà lunedì prossimo, Renzi chiederà alla Merkel e a Junker, in nome del principio di flessibilità nelle politiche economiche comunitarie, il mantenimento, per l’Italia, del parametro del deficit annuale di bilancio al 2,4%, rinviando al 2018 l’impegno a scendere all’1,8%. In sostanza, ciò consentirà al Governo di utilizzare circa 10 miliardi di euro nella prossima Legge di Stabilità da destinare ad investimenti.

In caso di esito positivo, il ministro Padoan potrà varare una manovra espansiva da 20-25 miliardi, che eviti un ulteriore aumento dell'Iva e approvi un moderato taglio dell’Ires, un modesto anticipo del pensionamento dei lavoratori maggiormente penalizzati dalla “Fornero” e alcune misure per aumentare la competitività delle imprese.

Nel frattempo, comunque, Renzi si è accordato con la ragioneria generale dello Stato per lo sblocco dei finanziamenti destinati ad opere pubbliche da mettere in cantiere, a prescindere da eventuali vincoli di bilancio derivanti da limiti di cassa o quant’altro. Il negoziato con le autorità europee sarà comunque durissimo e si chiuderà solo alla vigilia del 20 ottobre, giorno in cui l’Italia dovrà notificare la Legge di Stabilità alla Commissione Europea.

Un Pil fermo

L’azione dell’Italia è dovuta alle recenti rilevazioni che hanno certificato un Pil fermo nel secondo trimestre 2016, ma le argomentazioni del Presidente del Consiglio investiranno l’intera situazione economica dell’Unione. Il Pil, infatti, si muove a rilento in tutto il continente e l’economia europea è in deflazione.

Allo stato attuale, gli investimenti crescono in media poco più dell’1% e solo grazie ai mutui immobiliari. Tutto questo, nonostante la politica del Quantitative Easing adottata dal governatore della BCE Mario Draghi, i tassi bancari allo zero e i rendimenti negativi sui Btp.

Qualcuno ha già fatto notare alla cancelliera Merkel che, mentre ancora negli anni Novanta ad un risparmiatore tedesco bastavano circa nove anni per raddoppiare il capitale investito in rendimenti bancari o azionari, oggi gliene servirebbero cinquecento.

La politica mondiale dei tassi zero delle banche centrali, infatti, continua a produrre l’accumulo di debito pubblico ma frena l’economia reale. Il capitale è addormentato, non produce ricchezza e il denaro non circola. La politica del rigore sta ritorcendosi proprio contro le famiglie e le imprese, cioè sui soggetti che, nelle intenzione degli “eurocrati”, ne dovrebbero essere maggiormente beneficiari.

Le autorità monetarie europee e i leader italiani, francesi e tedeschi, riuniti nell’isola dove nacque l’idea di federazione europea, dovranno quindi prendere atto che una politica esclusivamente monetaria è controproducente e che serve maggior flessibilità, finalizzata alla crescita. Un Governo europeo, infatti, per le attuali rigide regole comunitarie può indebitarsi a dismisura ma non può investire come vuole. A una vera unione economica non servono più austerità e bilanci redatti in base a regole rigorose ma un piano di investimenti comuni, un nuovo Piano Marshall che, oggi, come allora, contribuisca a cementare l’idea d’Europa.