Il governo di Theresa May non potrà chiedere l'attivazione dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona senza un voto del Parlamento. È quanto ha deciso la Corte Suprema con una sentenza che per l'esecutivo ha un sapore meno amaro di quanto appaia a prima vista. Certo, i più fanatici fautori della Brexit, a partire da Nigel Farage e da quelli del “Daily Mail”, si sono subito lanciati nel solito refrain sulle "élites che cercano di frustrare la volontà del popolo", ma ormai la loro sembra una sorta di recita. La realtà dice altro. Innanzitutto, le possibilità che il Parlamento voti contro l'attivazione dell'articolo 50, che sancisce l'inizio dei due anni di trattative per il divorzio dall'Unione Europea, sono più che remote.

In secondo luogo (e forse soprattutto), la Suprema Corte ha stabilito che i parlamenti autonomi di Scozia, Galles e Irlanda del Nord non avranno potere di veto in tema di Brexit. I giudici, chiamati a decidere sulla questione dopo l'appello del governo contro la sentenza dello scorso novembre dell'Alta Corte, si sono divisi: 8 hanno votato a favore del Parlamento, 3 a favore dell'esecutivo. Rispetto a qualche mese fa, quando giornali e politici pro-Brexit erano arrivati a definire i magistrati dell'Alta Corte “nemici del popolo”, questa volta la reazione è stata meno isterica, perché, come detto, per May e soci nella sostanza cambia poco. La promessa della Premier di chiedere l'attivazione dell'articolo 50 entro la fine di marzo non sembra a rischio, perché nessuno in Parlamento ha i numeri per opporsi.

Non lo Scottish National Party (SNP), non i liberal-democratici, non i verdi, non i pochi Tories ribelli, cioè tutti quelli che hanno già annunciato il loro voto contrario. E, soprattutto, non i laburisti, in piena crisi d'identità e più che mai divisi sulla questione.

Davis: “La Brexit non può essere fermata”

Con queste premesse, è facile immaginare il motivo per cui David Davis, ministro per la Brexit, ha potuto presentarsi in aula con l'aria del vincitore e non con quella dello sconfitto, come ci si sarebbe potuti attendere dopo una sentenza di questa portata contro il suo governo.

Davis ha annunciato che l'esecutivo presenterà un progetto di legge entro pochi giorni, forse addirittura questa settimana, in modo che il Parlamento possa votare il prima possibile. Sarà un testo di poche righe, a prova di emendamenti e di imboscate da parte delle opposizioni. “La sentenza non cambia il fatto che la Gran Bretagna lascerà l'Unione Europea” ha detto il ministro.

Che ha poi lanciato un avvertimento ai nemici della Brexit, invitandoli a non approfittare della sentenza per “impedire che sia fatta la volontà del popolo”. “Il punto di non ritorno - ha aggiunto - è stato superato il 23 giugno dello scorso anno (data del referendum, ndr). Non si può più fare marcia indietro”.

Starmer: “Dateci almeno un piano”

Il discorso di Davis non è piaciuto agli eurofili. Il laburista Keith Starmer, ministro ombra per la Brexit, ha chiesto che il governo presenti almeno un piano di massima in vista dei negoziati con l'Unione Europea su cui il Parlamento possa discutere. Ad appoggiarlo anche alcuni deputati conservatori. Ma Davis è rimasto sordo a tutte le richieste, ribadendo che il discorso con cui la settimana scorsa Theresa May ha illustrato la sua visione per le trattative con la UE - “la più chiara esposizione di una strategia negoziale che io abbia visto in tempi moderni” nelle parole del ministro – è l'unico piano che il governo ha intenzione di presentare.

La reazione più dura è arrivata dall'SNP, che ha annunciato la presentazione di almeno 50 emendamenti e ha ribadito, per bocca della Premier scozzese Nicola Sturgeon, l'intenzione di indire un nuovo referendum per l'indipendenza: “È chiaro che la nostra voce non è ascoltata. Dobbiamo rimanere ostaggio di questo governo di destra o dobbiamo prendere il nostro futuro nelle nostre mani? Diventa sempre più chiaro che questa è una scelta che la Scozia deve fare”.