Doveva essere un momento di incontro e di dialogo, ma la Convention europeista è stato forse qualcosa di più. L’evento, dal titolo Verso gli Stati Uniti d’Europa. L’Italia nell’Europa che vogliamo, organizzato dai Radicali Italiani in collaborazione con Eastwest, Movimento europeo, Gioventù Federalista Europea, Forza Europa e Movimenta ha visto la partecipazione di così tanti ospiti illustri che ipotizzare la nascita di una lista europeista capace di imporsi nelle prossime elezioni politiche non è più una forzatura retroscenista. Infatti nel parterre della sala si sono visti tra gli altri: il corteggiatissimo Giuliano Pisapia, il ministro Carlo Calenda, lo scrittore Roberto Saviano, il leader dei liberali europei Guy Verhofstadt, l’ex premier Enrico Letta, viceministro al ministero degli affari esteri Mario Giro, Pier Virgilio Dastoli, Olivier Dupuis, il radicale sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Sandro Gozi (PD), Sara Manfuso (PD), Giampaolo Lalli e Lia Quartapelle (PD), Massimo Artini (AL), il presidente del Centro democratico Bruno Tabacci, una delegazione dei Verdi con Angelo Bonelli e dei socialisti con Riccardo Nencini ed infine Romano Prodi che ha accolto positivamente l’iniziativa nel suo video-intervento.

Quali di questi soggetti politici si affiancherà ai Radicali nella costruzione di una lista di scopo europeista sarà il tema del Congresso in programma nei prossimi giorni.

A presiedere la convention l’amatissima leader radicale Emma Bonino che da padrona di casa ha accolto gli ospiti ed ha dispensato sorrisi e speranze girando come un folletto tra le poltrone. La sala gremita vedeva tra gli ascoltatori una percentuale altissima di giovani e giovanissimi, fatto che sembra rimarcare come quella europea sia una questione più che contemporanea: lampante il fatto che molti di questi ragazzi hanno maneggiato la sola moneta europea.

Da centro a periferia globale

L’Europa che questi ragazzi conoscono non può però avere gli stessi contenuti e le stesse parole chiave degli ultimi 40 o 50 anni, perché il contesto nel quale si muove è radicalmente cambiato.

Nell’arco degli ultimi 50 anni la popolazione mondiale è passata da poco più di 3 ai prossimi 10 miliardi di abitanti ed i 7 miliardi di abitanti risultanti dal futuro saldo netto sicuramente non saranno europei: saranno asiatici, africani e latino americani e vivranno nello stesso identico pianeta di 60 anni fa, un sistema finito con risorse in rapido esaurimento.

Gli europei passeranno dall’essere il 15-20% al risultare come un misero 5% della popolazione mondiale. Lo stesso predominio economico è lungi dall’essere incontrastato in quello che gli analisti preannunciano come “il secolo asiatico”. Nel 1975 quando venne istituito il G7 come vertice dei Ministri dell'Economia delle sette nazioni sviluppate con la ricchezza nazionale netta più grande al mondo, quattro di esse erano democrazie liberali europee (Francia, Germania, GB ed Italia).

Ad oggi nessuna di queste sarebbe presente nella lista delle prime sette potenze economiche mondiali. Sempre nel 1975 solo tre dei grandi centri urbani del mondo – Tokyo, New York e Città del Messico – avevano più di 10 milioni di residenti. Nei prossimi 10 anni è prevista la costruzione Jing-Jin-Ji, megalopoli cinese da oltre 110 milioni di abitanti (paragonabile quindi alla somma della popolazione di Italia e Francia) che nei disegni dei pianificatori cinesi fonderà Pechino con Tianjin e lo Hebei. L’esplosione demografica prevista in alcuni continenti rapportata ai bassi livelli europei rischia di portare l’Europa tra 20 o 30 anni ad equiparare la città più popolosa della Cina. Ed è facile ipotizzare quindi che il problema europeo non sarà più la paventata invasione dei popoli extra comunitari, poiché l’Europa non sarà più il centro politico ed economico globale ma solo una delle tante periferie.

La crisi europea

L’inizio del processo di integrazione europea fu visto sicuramente come un successo da parte di tutti i Paesi che vi appartenevano. Il motivo è molto semplice: la liberalizzazione dello scambio di merci e servizi ha beneficiato tutti i Paesi dell’allora Comunità economica europea e questi benefici si sono distribuiti in modo relativamente equanime all’interno di ogni Paese. Ma ben presto il processo di integrazione politica subì un brusco stop a causa dei diversi nazionalismi e l’unica sovranità che si concesse all’Europa fu quella monetaria: la moneta unica però è stata concepita senza le istituzioni necessarie per farla funzionare. Quasi vent’anni dopo (e dopo una profondissima crisi) queste istituzioni non sono ancora state create.

Nel vuoto istituzionale, la Bce – creata col solo scopo di contenere l’inflazione – è diventata un’istituzione politica senza mandato, che può sostenere o far cadere i governi nazionali grazie a decisioni tecniche, poco comprensibili ai più. La rabbia populista e l’ascesa dei nuovi nazionalismi è alimentata da un profondo scontento e da questo pesante deficit democratico in Europa. Il continente europeo è stato investito negli ultimi 30 anni dall’esponenziale accelerazione del combinato composto di globalizzazione ed innovazione senza sviluppare al suo interno le capacità di gestirne ed incanalarne la potenza. La velocità delle trasformazioni economiche e sociali ha amplificato la complessità del fenomeno mutuando i concetti di progresso e internazionalizzazione, ritenuti prima dall’élites intellettuali intrinsecamente positivi.

La classe media vera vittima del dumping asiatico, ovvero dall’esportazione di merci a prezzi molto più bassi di quelli praticati sul mercato interno se non addirittura sotto costo, ha risposto agli effetti delle crisi economiche e produttive innalzando la bandiera protezionista. L’innovazione per anni non è stata gestita e governata ma subita sull’altare della concorrenza. Una concorrenza viziata, oltre che dai bassi costi della manodopera senza diritti, anche dal sistema finanziario europeo che si è trasformato in pochi anni in un sistema offshore: i soldi del narco traffico e delle mafie sono reinvestiti in larga parte nel nostro continente approfittando dei cavilli e delle sovranità nazionali.

Così facendo il riciclaggio finanziario dei mercati neri nell’economia reale ha inquinato ed alterato le regole della concorrenza segnando il destino delle aziende sane.

Un nuovo vento

Il rifiuto di queste dinamiche, che hanno impoverito i redditi più bassi, ha dato benzina al fuoco ai “costruttori di paura”. Negli ultimi anni identitari, sovranisti ed isolazionisti sembravano essere destinati ad un’ascesa implacabile sulla base di un’ondata emotiva alla quale era difficile rispondere razionalmente, dovendo ricercare la risposta più in ambito antropologico che politico. Ma come il Manifesto di Ventotene vide i natali nel momento più difficile per l’illusione, nell’Europa nel ’41, occupata tutta da nazisti, fascismi trionfanti e del regime sovietico, questo continente sembra ripartire da dove il nazionalismo e la sovranità si erano imposti come ostacolo al sogno federalista europeo idealizzando un Europa delle patrie: in Francia.

Sembrava impossibile che proprio lì, un ministro del governo socialista, senza appartenenza di partito, potesse creare da solo, in modo apparentemente egocentrico, un movimento politico capace di capovolgere l’intero sistema dei partiti. Invece una campagna elettorale di coraggioso confronto, incentrata sull’approfondimento della collaborazione europea e opposta al crescente populismo di destra ha conquistato un paese come la Francia, con una popolazione da sempre più euroscettica di quella lussemburghese, belga, tedesca, italiana, spagnola o portoghese. In Francia un nuovo concetto di cittadinanza europea e di sovranità ha fatto breccia nei cuori e nelle menti degli elettori e questo vento di cambiamento sembra ora scavalcare i confini transalpini.

Anche lo stesso presidente della Commissione europea Jean Claude Junker si è sbilanciato dicendo che ora “l’Europa ha il vento nelle vele”, ma l’Italia deve fare la sua parte da protagonista rilanciando il suo ruolo di fondatrice. L’ Italia deve e può essere quindi il motore di un’ Europa federale che innova, che prospera, che protegge, che integra e che decide democraticamente sconfiggendo l’egoismo dei neo nazionalismi. Perché come diceva Longanesi, “Il nazionalismo è l'unica consolazione dei popoli poveri”.