La discussione politica sulla imminente Legge di Stabilità si è spostata dal capitolo Pensioni e relativa riforma al capitolo tasse e riduzione del prelievo fiscale degli italiani. Ormai si parla più di Tasi, Ires e canone Rai che di flessibilità, quote e pensioni, quasi a confermare che difficilmente nel prossimo documento finanziario ci sarà un capitolo dedicato alla riforma della previdenza. Per questo, l’Esecutivo cerca di portare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla riduzione delle imposte che sembra un intervento di più facile realizzazione.

Per le pensioni, nella prossima Legge di Stabilità entreranno, quasi sicuramente, solo gli interventi urgenti della settima salvaguardia esodati e dell’opzione donna.

Opzione donna

L’opzione donna di cui si sta parlando non è una novità, ma è un atto che già esiste e che è stata confermata anche dalla Legge Fornero. Nella prossima Legge di Stabilità, dovrebbe essere inserita solo una proroga, cioè estendere il beneficio a tutte le donne che al 31 dicembre 2015, raggiungono determinati requisiti, senza far pesare la data di decorrenza dell’assegno. L’opzione donna permette alle donne che decidono di utilizzarla, di andare in pensione in anticipo, a 57 e 3 mesi per le dipendenti ed a 58 anni e 3 mesi per le lavoratrici autonome.

Il requisito contributivo da raggiungere per poter usufruire di questa uscita anticipata è 35 anni. Questa possibilità è valida fino al 31 dicembre 2015, cioè entro quella data le donne devono aver raggiunto i requisiti anagrafici e contributivi, ma funziona con il meccanismo delle finestre mobili. Per l’accesso ad opzione donna le lavoratrici devono rientrare in una finestra di uscita entro fine 2015.

Per questo motivo ed anche alla luce delle recenti circolari INPS, l’opzione donna non può essere sfruttata da quelle donne che andrebbero in pensione nelle finestre che si aprono a partire dal 1° gennaio 2016.

Dati Istat

Oltretutto le donne che optano per questa uscita anticipata, vedono l’importo della pensione calcolato con il sistema contributivo che significa, in soldoni, una riduzione della pensione tra il 20 ed il 30%.

Proprio sulle pensioni “in gonnella”, l’Istat ha reso pubblici, durante una audizione alla Camera, dei dati allarmanti per l’universo femminile . Secondo il massimo istituto di statistica italiano, le donne mediamente percepiscono pensioni più basse degli uomini. Quasi il 60% delle donne ha pensioni sotto i 1.000 euro ed addirittura una donna su sei ha assegni sotto 500 euro. Inoltre, quasi il 20% delle donne in età pensionabile non hanno alcuna pensione. Anche i dati sul lavoro al femminile sono negativi perché molte donne lasciano il lavoro alla prima gravidanza o nella migliore delle ipotesi, si fermano per 4 o 5 anni. Molte sono le donne che lavorano part-time e che quindi hanno retribuzioni più basse e contributi previdenziali minori.