Salace l'articolo che ha pubblicato Il Manifesto sui dottori di ricerca delle Università a firma di Roberto Ciccarelli. Il piano di “ignorantizzazione” prosegue lungo il suo cammino fatto di tagli di spesa indiscriminati in tutti i settori. Oggi, chi sceglie di fare ricerca in Italia lo fa a sue spese, senza che lo Stato faccia nulla per incoraggiare questa scelta, costringendo i ricercatori precari e i dottorandi delle Università a pagarsi da soli ogni cosa. Condannati a rimanere studenti a vita anche se loro i contributi però li versano eccome alla gestione separata dell'Inps.

Eppure per loro la strada verso un sussidio di disoccupazione è completamente sbarrata. Viene voglia di rinunciare e lasciare il proprio Paese abbandonandolo a un destino di diffusa “ignorantizzazione” dove tutto si compra e nulla si produce.

Niente disoccupazione collettiva

In un Paese dove lo specchio è costituito dai docenti supplenti senza stipendio in fila alla Caritasnon poteva essere diversa la realtà dei ricercatori universitari. Parafrasando il titolo di un celebre film si potrebbe dire “tutti allegramente senza una lira”. Raggiungere la Dis-Coll, come la definisce Roberto Ciccarelli nel suo pezzo, avviata dal Jobs Act e rifinanziata con la legge di stabilità ad oggi è una 'mission impossible'.

Gli assegnisti di ricerca si sono visti bocciare dalla commissione Bilancio della Camera la possibilità di estendere a loro questa DIS-COLL, salvo incassare la sua proroga per il 2016.

No borsa no ricerca

Scegliere di fare il ricercatore oggi è problematico per chi non si può mantenere autonomamente. I tagli di spesa hanno provocato la fuga dall'università e i docenti si sono ridotti a meno di 52mila, con un calo del -17% rispetto dal 2008 fino ad oggi.

Tutto nasce dall'imposizione di vincolo di copertura con borsa di dottorato sul 75% dei posti disponibili sul bando. Da qui in poi si è registrataun'autentica emorragia di posti e di converso sono aumentati i dottorati senza borsa. E se non si hanno soldi sufficienti addio ricerca. Si dice che la scuola pubblica italiana debba valorizzare il merito e la competenza ma poi si fa esattamente il contrario.