È proprio così, c'entra ancora la Legge Fornero anche per la questione della mobilità. Infatti, la Legge di Riforma del Lavoro, varata sempre dal Governo Monti nel 2012, influirà sui lavoratori che perdono l’occupazione perché di fatto abroga la mobilità. Il Jobs Act del Governo Renzi infatti non ha modificato niente di quanto già previsto dalla Fornero e quindi dal prossimo anno, tutti coloro che perderanno il lavoro non avranno più il diritto alla mobilità. L’unico salvagente concesso è quello della Naspi, cioè l’assegno di disoccupazione, ma a conti fatti, i lavoratori ci rimetteranno.

Di che lavoratori si tratta?

Stiamo parlando della mobilità ordinaria e dei lavoratori assunti in aziende medio-grandi, quelle di norma che hanno più di 15 dipendenti assunti. Fino all’avvento della Legge Fornero, in caso di licenziamento, a questi lavoratori toccava la mobilità. Per coloro che perderanno il lavoro a partire dal 1° gennaio 2017 invece, questo ammortizzatore sociale non sarà più attivo, ma dovranno “accontentarsi” di presentare normale domanda di disoccupazione all’Inps, dovranno richiedere la NASPI. È paradossale che un ammortizzatore sociale di carattere plurale, come la mobilità, cioè concesso a tutti i dipendenti che vengono licenziati, venga sostituito da uno individuale come la disoccupazione.

A dire il vero, la Fornero aveva già previsto una riduzione della mobilità in base all’età dei lavoratori ed alla collocazione geografica delle Aziende, il cosiddetto “decalage”, ma adesso l’ammanco per le tasche dei lavoratori è evidente. L’unica cosa positiva è che questa ennesima rivoluzione, non toccherà i lavoratori che sono già in mobilità, non avrà un effetto retroattivo ma sarà valida solo per i nuovi licenziamenti.

Dalla mobilità alla Naspi, cosa cambia?

Questa modifica avrà un effetto negativo sui lavoratori nonostante l’importo massimo erogabile con la Naspi, superi quello della mobilità. Infatti, con la mobilità che veniva concessa prima dell’avvento del Governo Monti, al lavoratore collocato a riposo, veniva erogato il 100% del trattamento minimo salariale con una piccola trattenuta per i contributi, di norma del 5%.

In parole povere veniva concesso l’80% dello stipendio teorico, quello che comprende le voci fisse, senza straordinari, festivi e tutti gli altri emolumenti variabili previsti nelle buste paga. In parole povere venivano erogati tra i 960 ed i 1.150 (in base alle fasce di stipendio pre-mobilità) euro al mese per la durata massima di 48 mesi. Con la Naspi, il lavoratore percepirà una indennità massima di 1.300 euro al mese che però scenderà, dal 4° mese di incasso, del 3% per ogni mese. Inoltre, erogando la metà delle settimane lavorate negli ultimi 4 anni, la durata massima del sussidio sarà di 24 mesi (invece dei 48 previsti per la mobilità). A conti fatti, un lavoratore con 2.000 euro di stipendio lordo, percepirà con la NASPI, per i primi 4 mesi di sussidio, 1.100 euro al mese rispetto ai 960 che erogava la mobilità.

Il problema è che passando i mesi, già dal 9° la NASPI scenderà sotto i 960 euro e se aggiungiamo anche che questa durerà solo 24 mesi rispetto ai 48 della mobilità, il disastro per i lavoratori è compiuto.