La settimana prossima, più precisamente martedì 14 giugno ci sarà il confermato incontro tra Governo e sindacati. Oggetto di questo appuntamento sarà il capitolo previdenziale, la riforma delle Pensioni che sarà apparecchiata per la prossima Legge di Stabilità. Al tavolo di discussione, il Governo ed i sindacati arriveranno su posizioni diametralmente opposte, con l’unica cosa comune che è la necessità di riformare il sistema previdenziale. Per il resto quindi, le soluzioni ai problemi delle pensioni sono diverse, con il Governo fermo sull’APE e con i sindacati che spingono su posizioni vicine a Damiano.
APE contro quota 100?
Il Governo martedì prossimo presenterà ufficialmente l’APE, l’anticipo pensionistico in prestito dalle banche. In sintesi questo provvedimento concede ai lavoratori di poter scegliere quando uscire dal lavoro a partire dai 63 anni di età, ma la pensione sarà pagata da una banca attraverso una specie di finanziamento che poi sarà restituito dal pensionato in rate mensili ed in venti anni. Il ruolo dell’Inps in tutto questo resta marginale, con l’Istituto a fungere da garante del prestito concesso al lavoratore e con la sua azione che inizierà con l’arrivo del lavoratore a 66 anni e 7 mesi di età.
Probabilmente, il 14 giugno, il Governo spiegherà anche le soluzioni parallele all’APE che sta mettendo in cantiere, come l’utilizzo dei versamenti per la pensione complementare che potrebbero essere usati in anticipo per ridurre l’ammontare del debito che i lavoratori richiedenti l’APE saranno costretti a chiedere.
Che i sindacati non siano d’accordo su questo è stato evidente fin dalle prime indiscrezioni sull’APE. I rappresentanti dei lavoratori da sempre sono più vicini alla proposta del Presidente della Commissione Lavoro della Camera, Damiano e della sua quota 100. Per loro se flessibilità deve essere, non può gravare sulle tasche dei lavoratori e soprattutto deve essere chiaro che la pensione deve essere erogata dall’INPS che poi è la cassa previdenziale a cui i lavoratori pagano i contributi per la propria quiescenza.
Ma si può trovare una linea comune?
A prima vista, le idee sul campo sono talmente diverse che è azzardato immaginare che si possa trovare una soluzione che faccia contenti tutti. Le coperture sono l’ostacolo più grosso con il Governo fermo sul fatto che la riforma deve essere quanto più vicina possibile al costo zero. Ecco perché si opta per far pagare le pensioni dalle banche e non dall’INPS e perché si chiede ai lavoratori l’ennesimo sacrificio di accettare l’assegno sotto forma di prestito da restituire o di utilizzare le altre forme di previdenza e di risparmio del lavoratore per questa flessibilità.
I sindacati invece vedrebbero di buon occhio l’applicazione di quota 100, vecchia proposta di Damiano, depositata già dalla scorsa legislatura. Come funzionerebbe quota 100? Una volta raggiunta questa soglia, prodotta dalla somma di età anagrafica e contributi versati, dovrebbe essere concessa a tutti la facoltà di accedere alla pensione.
In linea di massima quindi, 65 anni di età e 35 di contributi, 64 e 36 e così via, fino ai 62 anni che sarebbero la data di partenza, l’anticipo anagrafico massimo concesso. La pensione dovrebbe essere pagata dall’INPS ed al lavoratore l’unico onere di accettare la riduzione di assegno in base agli anni di anticipo in cui sceglie di uscire dal lavoro, con una penalizzazione massima dell’8% per chi opti per l’uscita a 62 anni e 38 di contributi.
La fattibilità di questo provvedimento però non è facilmente attuabile per tutto quello di cui parlavamo prima. Diversi miliardi di euro, questa la previsione di spesa che dovrebbe mettere in cantiere lo Stato per coprire economicamente quota 100, senza contare che alcune categorie di lavoratori come i precoci, chiedono vie diverse anche a questo, fermi sulla quota 41 senza penalizzazioni e senza limiti di età.