In Italia, per trovare lavoro, ci si rivolge soprattutto ad amici, parenti e conoscenti. È quanto emerge da una ricerca dell’ISFOL (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori) datata 2014 e pubblicata quest’oggi. Un italiano su tre ha ammesso di aver trovato lavoro proprio grazie all’aiuto di un parente o di un conoscente. Allo stesso tempo, è emerso che i Centri di Impiego e le Agenzie di lavoro interinale non sono poi così efficaci (o almeno non così utilizzati) nel mercato lavorativo italiano: rispettivamente hanno trovato un impiego al 3,4% e al 5,6% degli occupati intervistati.

Una situazione che sfavorisce più persone di quante ne favorisca

Secondo l’Isfol, questa situazione ha più risvolti positivi che negativi. Se da una parte, l’aiuto dei parenti può essere decisivo nella ricerca di un lavoro da parte di un disoccupato, dall’altra aumenta il rischio di ‘riduzione delle attività lavorative a disposizione, rendendo molto difficile, a chi non ha i contatti giusti, di trovare un’opportunità lavorativa soddisfacente’. Le reti informali, quindi, eliminano quasi del tutto la concorrenza tra lavoratori e le possibilità di affermazione personale. Come se non bastasse, negli ultimi anni la Pubblica Amministrazione ha bloccato i concorsi pubblici e quindi altri posti liberati non sono stati ‘rioccupati’ da persone in cerca di lavoro.

Aiuti da conoscenti a parte, l’autocandidatura è il secondo metodo preferito quando si cerca un impiego. Il 58% degli occupati ha dichiarato di aver inviato il proprio curriculum nella fase di ricerca e il 20,4% ha affermato che questa procedura è coincisa con l’assunzione diretta.

Il commento di Sacchi (Isfol)

Il commissario straordinario dell’Isfol Stefano Sacchi ha commentato così i risultati dello studio: “L’Italia è un paese in cui, per trovare lavoro, conta ancora molto la rete di conoscenze che un individuo può vantare.

I dati presentati dimostrano che le opportunità di occupazione e di carriera di un individuo sono fortemente influenzati dalla sua famiglia di origine e dall’appartenenza a certi ambienti. Tutto ciò riduce sensibilmente le opportunità di ascesa alle fasce ‘deboli’ del mercato lavorativo”.