La nullità della consulenza tecnica d’ufficio deve essere contestata entro la prima udienza utile. Al fine di acquisire dati di carattere tecnico e specialistico su questioni complesse il giudice può avvalersi della consulenza tecnica d’ufficio (cd. ctu). La ctu sovente è necessaria per quantificare e valutare quanto già allegato e provato dalle parti. Tale procedimento però è soggetto a specifiche formalità che se non adempiute possono invalidare la ctu.

Proprio su tale questione è intervenuta la cassazione con la sentenza n. 17032 dell’11.08.2016, affrontando il caso in cui il ctu nominato non comunichi all’avvocato la data, ora e luogo di inizio (o di prosecuzione) delle operazioni peritali svolte con il ctp, determinando l’assenza di uno dei procuratori.

In tal caso si verrebbe a creare una nullità relativa che sarebbe sanata laddove non eccepita tempestivamente ovvero alla prima udienza successiva (anche nel caso di udienza di mero rinvio) o nella prima istanza/memoria successiva al deposito, la Corte aggiunge “poiche' la denuncia di detto inadempimento formale non richiede l'effettiva conoscenza del contenuto dell'elaborato del consulente”. Pertanto per poter contestare tale nullità diventa fondamentale la prima udienza utile successiva all’espletamento delle operazioni peritali, dopodiché la nullità si considera automaticamente e definitivamente sanata.

La natura istruttoria e la valenza probatoria della CTU

La ctu può essere ammessa come supporto contributivo per la valutazione di quanto è stato già assunto in corso di causa o per accertare fatti rilevabili solo attraverso specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche.

Non è ammessa invece per supplire alle insufficienti allegazioni delle parti. Con la seconda sentenza n. 17685/2016 la Cassazione si occupa dell’ammissibilità della CTU come mezzo di prova.

La causa aveva ad oggetto la verifica della dannosità per la salute dei rumori, esalazioni e vibrazioni provenienti dall’esercizio dell’attività di autodemolizione.

Oggetto del giudizio era il risarcimento dei danni derivanti da immissioni intollerabili (art. 844 c.c.). Ebbene, la Corte ha chiarito che in tali casi il giudice non può non ammettere la CTU e giustificare il diniego col mancato assolvimento dell’onere probatorio della parte. E’ certamente vero che la ctu non è un mezzo di prova, ma è altrettanto vero che per dimostrare la dannosità e la non tollerabilità di determinate attività non sono sufficienti i certificati medici attestanti le malattie degli abitanti circostanti, ma è necessario verificare tecnicamente la dannosità di tali attività.

Secondo la Suprema Corte la CTU, pur non rappresentando un mezzo di prova, è comunque un mezzo istruttorio, ed è resa necessaria (in quanto fonte oggettiva di prova) laddove occorra accertare fatti rilevabili solo attraverso specifiche competenze e strumentazioni tecniche senza che ciò incida sulla ripartizione dell’onere probatorio tra le parti (art. 2697 c.c.). In tali casi la CTU non avrà solamente una funzione valutativa (o quantificativa) di quanto già acquisito al processo, ma anche di precipuo strumento asseverativo dei fatti allegati dalle parti.

Nel caso specifico la verifica del nesso causale tra i fatti allegati (le immissioni di fumi e rumori) e le conseguenze salutari subite dagli attori costituirebbe proprio una “ipotesi in cui è indispensabile il conforto specialistico” (cfr.

testo della sentenza). E’ da considerare pertanto solo apparente lamotivazione del giudice che, non ammettendo la CTU, rigetti la domanda nel merito sulla base della carenza di prova del fatto allegato.