La Camera ha dato il suo voto favorevole alla Legge di Bilancio, la manovra finanziaria così come è stata ribattezzata oggi. A Montecitorio quindi, la manovra ha superato uno dei tanti passaggi del suo percorso che terminerà col la sua approvazione entro fine anno. Al suo interno, il pacchetto Pensioni, una serie di interventi per consentire una maggiore flessibilità in uscita dal lavoro. Sono due le nuove misure inserite nella manovra finanziaria al capitolo pensioni, cioè l’APE e Quota 41. Poi ci sono le estensioni di quelle vecchie come opzione donna e ottava salvaguardia esodati.

Poca roba per chi ha iniziato a lavorare in giovane età

Le due novità citate prima, cioè APE e quota 41, sono di natura diversa. L’APE è un intervento per anticipare la pensione di vecchiaia, quella che le attuali norme hanno fissato a 66 anni e 7 mesi, con almeno 20 di contributi versati. Con l’APE, senza entrare nel dettaglio del prestito o delle sue varie versioni, si consente l’uscita a partire dai 63 anni, cioè con 3 anni e 10 mesi di anticipo massimo. Quota 41 invece riguarda la pensione anticipata, cioè quella non legata all'età anagrafica, bensì ai contributi versati. La riforma Fornero portò il numero di contributi necessari per lasciare il lavoro a 42 anni e 10 mesi (un anno in meno per le donne).

Questo fino a tutto il 2018, perchè per via dell'aspettativa di vita, secondo la vecchia riforma, dal 2019 saranno necessari più di 43 anni. Con quota 41 quindi, si potrà lasciare il lavoro con "soli" 41 anni di contributi. La misura inserita nella Legge di Bilancio si rivolge ai precoci, quelli che hanno iniziato a lavorare molto giovani, ma non li copre tutti come auspicavano i comitati ed i gruppi di lavoratori.

La misura creata dal Governo sembra una via di mezzo tra una prestazione assistenziale ed una previdenziale. Bisogna avere 41 anni di contributi versati, di cui almeno uno prima dei 19 anni. Inoltre, bisogna essere disoccupati, disabili (almeno il 74% di invalidità) o con disabili a carico. Per i disoccupati, bisogna aver terminato di percepire gli ammortizzatori sociali (Naspi, ASPI ecc..) da almeno 3 mesi prima della presentazione della domanda.

In alternativa a queste condizioni di disagio sociale, quota 41 può essere appannaggio di chi è alle prese con attività lavorative considerate gravose. Il Governo ha preparato un elenco di attività (sono 11) da considerare tali, dalle maestre di asilo fino agli edili.

Il problema risorse

La Commissione Bilancio che la settimana scorsa ha valutato gli emendamenti arrivati su tutti i punti della manovra, ne ha approvati molti, correggendo di fatto il testo originale della Legge di Bilancio. Per quota 41, nessuna correzione, per cui la misura è rimasta identica a come era stata licenziata dal Consiglio dei Ministri lo scorso ottobre. Perfino la dotazione finanziaria, le classiche coperture sono le stesse iniziali e questo è un ennesimo vincolo che rischia di escludere altri lavoratori che pure avrebbero diritto all'uscita in base ai requisiti posseduti.

A quota 41, il Governo per il 2017 ha destinato 360 milioni di euro. L’idea però è quella di rendere strutturale il provvedimento, cioè di sdoganarlo dal classico carattere triennale. Resta il fatto che per il 2018 si prevede di mettere a bilancio alla voce precoci 550 milioni di euro, per salire a 570 nel 2019 e mandare a regime la misura con decorrenza 2020 e con 590 milioni annui. Essendo queste le cifre, se nella valutazione della misura man mano che vengono presentate le richieste da parte dei lavoratori, si verificassero scostamenti tra i soldi disponibili e le richieste stesse, le pensioni potrebbero essere differite nel tempo. Non siamo di fronte ad un provvedimento fino ad esaurimento risorse, ma poco ci manca.

In definitiva, se non bastassero i soldi stanziati, le domande saranno accettate in ordine allo stato di bisogno, alla data di maturazione dei requisiti ed infine alla data di presentazione dell’istanza.