Il 30 novembre il Ministro Madia ed i tre Segretari Generali di CGIL, CISL e UIL hanno sottoscritto l’accordo per rinnovare il contratto dei lavoratori del Pubblico Impiego fermo da 7 anni. Parliamo dell’intesa trovata sulla cifra di 85 euro di aumento medio a lavoratore. L’intesa però non significa contratto, perché quello è stato solo un punto di partenza, con la palla che adesso passa all’ARAN che è l’Agenzia per la negoziazione che ha l’incarico di portare a termine l’operazione rinnovo. L’esito della consultazione referendaria e le dimissioni del Premier non potranno non avere effetto anche sulla querelle rinnovo.
Ecco gli scenari futuri e cosa potrebbe accadere adesso.
Il problema è il testo unico
Il discorso relativo al rinnovo del contratto, con la famosa sentenza della Consulta del luglio 2015, risulta essere parte integrante della riforma della Pubblica Amministrazione che la Madia stava portando a termine. Entro febbraio, il Governo avrebbe dovuto approntare il Testo Unico sul Pubblico Impiego. Questo altro non è che il contenitore delle nuove regole sul lavoro nelle PA che abbracciano tutte le novità da inserire, oltre che sugli stipendi, anche su posto fisso, carriere e lotta ai furbetti. Il Testo Unico contiene tutta la parte normativa che consentirebbe alle parti di mettere a punto il contratto.
Sergio Gasparrini, Presidente dell’ARAN ha dichiarato che il passo fatto in sede di accordo è importante, ma che la partita non è ancora finita perché è necessario mettere mano ad un insieme di norme vecchie ed obsolete. Ci vorrà del tempo e la data di partenza dovrebbe essere oggi, dopo l’approvazione della Legge di Bilancio.
Il lavoro è arduo anche perché c’è da riorganizzare la macchina alla luce della riduzione dei comparti che da 11 sono diventati 4.
Si ferma tutto?
Sarebbe una autentica beffa se a causa del referendum, il rinnovo del contratto, così come tutta la riforma della PA, venga congelata o rimandata. Dalla UIL fanno sapere che tutto era programmato, per questo si è scelto di sottoscrivere un accordo prima del referendum, ben consci degli effetti che la consultazione avrebbe avuto sulla vita del Governo, a prescindere dall’esito.
Il Segretario Barbagallo fa sapere che è fuori luogo pensare a ritrattare o strappare l’accordo sottoscritto il 30 novembre. I dubbi però restano, così come la tempistica degli interventi. Il punto focale sono le cifre, con 85 euro medi che fanno presagire aumenti diversi da lavoratore a lavoratore. I criteri di scelta non sono chiari, così come non è chiaro cosa vorrà fare il Premier a tempo che sostituirà Renzi a Legge di Bilancio approvata e soprattutto quello futuro. Se è vero che si chiederanno elezioni immediate, magari a febbraio, come farà l’ARAN a portare avanti una trattativa?
Altro nodo da sciogliere è il reintegro di quei dipendenti colti in fallo e allontanati che adesso devono essere reintegrati come stabilito da una Sentenza della Consulta che ha mosso appunti sui decreti attuativi del Governo.
Proprio l’Esecutivo stava preparando un piano che rispondesse agli appunti mossi dai Giudici circa l’incostituzionalità dei provvedimenti presi. Adesso, senza Governo, la palla torna ai dirigenti, ma difficile che si assumano responsabilità tali da bloccare il ritorno in organico dei furbetti. Tutto resta in alto mare, tutto appeso ad un filo, questo il risultato che il referendum ha avuto ed avrà sul lavoro nelle PA.