Spesso il debitore ce la mette tutta per saldare i propri debiti ma può succedere che a causa di errori di calcolo o di semplice disattenzione il debito viene pagato dimenticando alcuni spiccioli. In tal caso il debitore sarebbe ugualmente esposto al recupero forzoso della differenza sebbene di modesto valore. Ebbene secondo la cassazione non è corretto procedere ad esecuzione forzata quando il debito di valore particolarmente basso.
Il recupero forzoso del credito residuo
Il creditore non soddisfatto per l’intero credito tecnicamente ha la possibilità di agire per il recupero della restante parte rimasta insoluta, sebbene di poco conto.
Potrebbe quindi notificare un atto di precetto per la differenza e, decorsi dieci giorni, procedere regolarmente al pignoramento (mobiliare o presso terzi) per recuperare quanto di diritto, con ulteriore evidente aggravio di spese per lo “sbadato” debitore.
Il principio enunciato dalla Cassazione: niente pignoramento per pochi spiccioli
Con la sentenza n. 2168/2017 la Corte ha dichiarato illegittimo il pignoramento in caso di credito monetario di infimo valore. Il creditore deve quindi desistere dal pignorare le somme residue sperando magari che il debitore paghi sua sponte quanto dimenticato in precedenza. Qualora il creditore agisca in via esecutiva sarà pertanto lo stesso giudice dell’esecuzione a dover rigettare il pignoramento instaurato per cifre irrisorie (nel caso di specie si trattava di circa 20 euro).
La Corte basa la propria decisione sul principio desumibile dall’art.100 c.p.c. che impone l’interesse ad agire per poter proporre la domanda al giudice. Interesse, prosegue la Corte, che si traduce in un danno certo e concreto economicamente valutabile. La Cassazione contraddice peraltro un principio diametralmente opposto quando aveva stabilito che può essere legittimamente instaurato un giudizio anche se di infimo valore purché avente ad oggetto controversie per le quali è possibile la class action.
Niente spazio quindi alle cd. cause “per principio”. In caso contrario si finirebbe per appesantire ulteriormente le aule di giustizia per questioni di scarsa rilevanza, compromettendo la rapidità della giustizia per altri procedimento più importanti che magari richiedono soluzioni più rapide.
Superamento dell’art. 24 della Costituzione?
Di contra è facile obiettare che la stessa Costituzione con l’art. 24 garantisce la possibilità di ciascun cittadino di azionare dinanzi al giudice la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. Difatti l’art. 24 testualmente recita: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
Secondo la Cassazione tale obiezione non sarebbe però in contrasto con quanto da essa affermato poiché la tutela dei diritti deve comunque essere orientata a far valere un danno effettivo e non solo “questioni di principio”. Pertanto l’azionabilità del diritto in giudizio (anche in via esecutiva) va contemperata con il principio di buona fede e correttezza, oltre che con quelli della ragionevole durata del giudizio e del giusto processo.
In conclusione appaiono legittimi però alcuni interrogativi: quale sarebbe il limite di valore che giustificherebbe l’azione esecutiva? Qual è il valore delle questioni di principio? e soprattutto perché solamente il debitore dovrebbe essere giustificato per essersi dimenticato degli spiccioli, e non invece il creditore nell’aver magari richiesto qualche spicciolo in più (per errore si intende)?! Per restare aggiornato sulle novità di diritto, economia e lavoro premi il tasto Segui accanto al nome.