La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 1925/2017 ha statuito che causa può essere legittimamente proposta dall'avvocato anche se di infimo valore purché abbia ad oggetto controversie per le quali è possibile la class action.

Il caso: l’Iva illegittima sulle spese postali della bolletta Telecom

Il giudizio instaurato in primo grado aveva ad oggetto la legittimità dell’addebito in bolletta calcolato sulle spese di spedizione della stessa. L’attore chiedeva pertanto al giudice di pace adito di dichiarare l’illegittimità dell’addebito (circa 15 centesimi) e la condanna alla relativa restituzione da parte di Telecom s.p.a.Il giudice di primo grado aveva dato pienamente ragione all’attore con conseguente condanna della compagnia assicuratrice.

Il successivo appello, spiegato dalla compagnia telefonica, era stato dichiarato inammissibile dal tribunale, in considerazione della presunta decisione secondo equità da parte del primo giudice, pertanto inappellabile.Invero, il giudice di pace aveva espressamente indicato in sentenza che si trattasse di decisione secondo diritto. Ciò in considerazione del fatto che l’oggetto del giudizio si riferisse ad un contratto per adesione sorto tra Telecom e l’utente e come tale rientrante nell’ambito di operatività dell’art 113 c.p.c. comma 2 che esclude la decisione, secondo equità, per tali tipi di cause anche se di valore inferiore ad euro 1100.

Il principio enunciato dalla Corte

Il ricorso giunge in terzo grado, ove i giudici di Piazza Cavour disattendono un’eccezione fatta valere dallo stesso utente circa la inammissibilità del ricorso in Cassazione a causa del valore infimo della lite, ed enunciano un importante principio.

In particolare l’utente fonda l’eccezione di inammissibilità facendo riferimento al difetto di interesse della Telecom in violazione dell’art. 24 della Costituzione oltre contrario alla sentenza della Cassazione n. 4228 del 2015 (anche se inerente però alla espropriazione forzata).

La Cassazione rigetta l’eccezione con una duplice considerazione:

  • a) se si applicasse il principio dedotto dall’utente (inammissibilità per l’infimo valore della causa) allora anche la domanda promossa in primo grado dallo stesso utente sarebbe da considerarsi inammissibile;
  • b) la materia rientra tra quelle tutelabili mediante class action e pertanto dichiarandone l’inammissibilità (per esiguità del valore) si finirebbe per trattare in maniera ìmpari situazioni uguali: in pratica si arriverebbe ad escludere la tutela dell’utente per un giudizio di poco valore che invece sarebbe accolto se promosso attraverso class action. Per giunta la class action non è obbligatoria e quindi l’utente può scegliere di agire individualmente senza doversi preoccupare di alcun limite (minimo) di valore economico della domanda, in caso contrario si avrebbe una evidente disparità di trattamento tra l’azione esercitata come singolo e quella esercitata in forma collettiva.

Insomma è possibile promuovere il giudizio seppur di infimo con la conseguente condanna della parte resistente alle spese di lite, che ricordiamo, seguono la soccombenza. Per restare aggiornato sulle novità di diritto, economia e lavoro premi il tasto Segui accanto al nome.