Da oggi basta con i pareri, consulenze e risposte gratuite. La semplice richiesta di chiarimenti, di delucidazioni su una possibile causa o di un parere professionale, inoltrata anche via email all’avvocato (e al professionista in genere) costituisce, automatico conferimento di incarico se l’avvocato risponde e fornisce i chiarimenti richiesti.
Il principio enunciato dalla Cassazione
L'automatismo tra email e conferimento di incarico fa scaturire l’obbligo di pagare la consulenza, sebbene ricevuta in modo telematico. Ciò è quanto ha stabilito recentemente la Corte di Cassazione con la sentenza n.
1792/17 del 24.01.2017. Secondo gli ermellini infatti l’e-mail costituisce valida prova del conferimento dell’incarico all’avvocato che impone di conseguenza il pagamento della parcella da parte del cliente. Difatti, prosegue la Corte, l’incarico si presume sempre a titolo oneroso a meno che non vi sia un diverso accordo tra le parti. In pratica se nella mail non è specificato il carattere gratuito della consulenza la prestazione dell’avvocato sarà da considerarsi sempre a titolo oneroso.
Anche se la legge riconosce come prova solo la Posta Elettronica Certificata (oltre che la raccomandata a/r) l'orientamento dei giudici sta attribuendo valore probatorio anche alla semplice email. Secondo questi innovativi giudici anche la mail ed il fax costituiscono valida prova ai fini della dimostrazione del conferimento dell’incarico all’avvocato.
L’avvocato sarà quindi agevolato nel recupero delle somme spettanti a titolo di onorario potendo avvantaggiarsi di questo tipo di prova in mancanza di un mandato scritto. Recentemente anche il Tribunale di Milano con la sentenza n. 11402/16 del 18.10.2016 ha statuito che non sarebbe necessaria la Pec per attribuire valore di prova alla email.
Ebbene precisare però che affinché tale mezzo di comunicazione sia considerarsi valida prova è necessario che non sia contestata dall’avversario (debitore). Infatti l’email perderebbe la sua valenza di prova qualora la controparte dovesse contestarne il contenuto o addirittura il ricevimento della stessa.
L’obbligo di corrispondere gli onorari
Il rapporto tra libero professionista e cliente (prestazione d’opera) si presume sempre a titolo oneroso, sebbene non specificato, e può essere conferito in qualsiasi forma purché idonea a esprimere la volontà di avvalersi dell’opera del professionista. Quindi in conseguenza dello svolgimento dell’opera/prestazione scatta il dovere di pagare il compenso. Questo principio vale per qualsiasi tipo di incarico dal più semplice a quello più complesso: in ogni caso è bene sempre chiarire espressamente nella email (o nel fax) che si intende accettare la prestazione solo se a titolo gratuito onde evitare di ricevere una salata parcella dal professionista.
A questo punto appare legittimo chiedersi se anche le consulenze tramite WhatsApp (o altre applicazioni di messaggistica immediata) saranno in futuro prese in considerazione come prova dell’incarico, dal momento che è divenuto lo strumento di comunicazione e di condivisione per eccellenza e sono ormai all’ordine del giorno i clienti che sogliono “chiedere consigli” all’avvocato di turno, anzi “online”.
L'Equo compenso
Al fine di riequilibrare le "condizioni contrattuali" tra gli avvocati e i c.d. clienti forti (come banche, imprese e assicurazioni) sembra ormai imminente l'approvazione della legge sull'equo compenso. Il nuovo d.l. all'art 1 stabilisce lo scopo della legge: tutelare "l'equità del compenso degli avvocati iscritti all'albo nei rapporti contrattuali con soggetti diversi dai consumatori o dagli utenti di cui all'art. 3, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 206/05". L'art. 2 fissa le clausole che, se inserite nella convenzione tra un avvocato e uno dei clienti forti, "determinano un eccessivo squilibrio contrattuale in favore del committente. Qualsiasi clausola vessatoria è nulla. La nullità, opera a vantaggio dell'avvocato e potrà essere rilevata d'ufficio dal giudice.