La riforma delle pensioni, tra incontri Governo-sindacati, dichiarazioni delle parti, proposte ed ipotesi, continua a tenere banco e ad essere al centro della discussione politica. Il tema è sempre lo stesso, con i decreti attuativi che devono essere emanati e che sono in considerevole ritardo rispetto al 2 marzo, giorno di scadenza del limite temporale di 60 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio. Dopo giorni di silenzio, il Governo è tornato a parlare di questi atti attuativi delle misure e sembra che tutto sia pronto. Il problema è che non essendo stati presentati, il loro contenuto è ignaro ai più.
Il Consulente Leonardi
Dal Governo la conferma che i decreti attuativi per i provvedimenti previdenziali sono pronti per essere inviati alla valutazione del Consiglio di Stato. Si tratta di uno step attuativo dovuto, che dopo il Consiglio di Stato,proseguirà con il parere richiesto alla Corte dei Conti. La notizia ha i crismi dell’Ufficialità perché a prendere la parola è stato il Consulente Economico del Consiglio dei Ministri, Marco Leonardi, delegato del Premier Gentiloni a sviluppare l’iter di attuazione delle misure. Intervistato dal noto quotidiano economico-finanziario, il Sole 24 Ore, Leonardi ha confermato la partenza delle misure il 1° maggio e la scadenza delle domande il 30 giugno.
Nel 2018 invece, le domande avranno cadenza temporale tra il 1° gennaio ed il 31 marzo.
Novità in arrivo?
Il motivo per cui il contenuto dei decreti non è stato ancora reso pubblico, nemmeno alle parti sociali nei ripetuti confronti può essere interpretato in due modi. La prima via, sicuramente poco probabile è che alcuni correttivi richiesti, stanno per essere messi in atto.
Si tratta della franchigia di 12 mesi che andrebbe a detonare il pesante paletto dei 6 anni di continuità lavorativa chiesti ai lavoratori impegnati in mansioni logoranti e che possono richiedere sia l’APE sociale che Quota 41. C’è poi da considerare la richiesta di allargare la platea dei lavori gravosi, considerando di più la mansione del lavoratore piuttosto che il ramo aziendale.
È stato chiesto inoltre, di considerare come possibili beneficiari delle due misure i disoccupati provenienti da scadenze di contratto a termine e non soltanto i provenienti dai licenziamenti. Tutti correttivi questi che sono alla base delle richieste dei sindacati e tutti correttivi che difficilmente verranno applicati. I tempi tecnici sono ristretti e qualche settimana fa, al Ministro Poletti, scappò che la necessità immediata sia quella di far partire le misure così come sono, per correggerle in corso d’opera, cioè con la prossima manovra di Bilancio di fine 2017.
Come partiranno le misure?
Appare molto più probabile che i decreti presentino le misure così come sono state pensate con tutti i paletti citati prima e che l’unica novità certa, come confermato ancora da Leonardi, siano lo scaglionamento dei beneficiari.
Ricapitolando, dal 1° maggio i lavoratori con 63 anni e 20 di contributi, potranno chiedere l’APE, nella versione volontaria. Una pensione mensile, senza tredicesima, senza rivalutazione e non reversibile ai superstiti. La pensione, calcolata in base ai contributi versati al momento della domanda, sarà un prestito bancario da restituire in 20 anni dopo aver raggiunto la vera pensione spettante. Interessi annui del 4,5% e spese assicurative pari al 29% del montante prestato. Per disoccupati, invalidi e con invalidi a carico, o lavoratori gravosi, il prestito viene coperto dalle Stato. Per costoro servono 30 o 36 anni di contributi versati e non figurativi. Le graduatorie di accesso all’APE sociale, saranno in base all’anzianità anagrafica dei richiedenti. Quota 41 invece rimane destinata agli stessi lavoratori che rientreranno nell’APE sociale, ma con 41 anni di contributi effettivi versati, dei quali, almeno uno prima dei 19 anni di età.