Le donne lavoratrici che restano incinte e si apprestano a diventare madri, hanno un particolare istituto che le copre nel periodo in cui si assentano dal Lavoro proprio per le loro condizioni di salute. La maternità è una misura che si applica a tutte le lavoratrici dipendenti ed è gestita dall’Inps. La misura vale anche per le collaboratrici domestiche, per le badanti e le baby sitter: lo prevede il CCNL di categoria, da poco rinnovato. Lo stesso vale per i padri o futuri tali, che hanno diritto ad assentarsi dal lavoro in occasione della nascita del bambino.

Ecco norme, regole e tutte le informazioni utili agli addetti del settore che si trovano nella condizione di aspettare un nuovo nato.

L’indennità

Al pari di tutte le lavoratrici anche le colf o badanti, in dolce attesa, hanno diritto alla maternità obbligatoria, alla malattia o alla maternità anticipata (a rischio). La maternità obbligatoria Inps è della durata di 5 mesi e come recita il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore, all’articolo 25, la legge fa divieto di trattenere al lavoro obbligatoriamente, una dipendente nei 5 mesi coperti da questo istituto. I periodi come di consueto sono 2 mesi prima del parto e 3 mesi dopo. In alternativa, ma in questo caso serve un certificato medico del proprio ginecologo, si può sfruttarla un mese prima della data di parto e 4 mesi dopo.

Durante il congedo per maternità, cioè nei 5 mesi, sarà l’Inps ad erogare l’indennità alla lavoratrice madre, senza costi per il datore di lavoro. Come per tutte, anche per le collaboratrici domestiche e le badanti, si può percepire anche la maternità anticipata o a rischio come comunemente è conosciuta. Essa si percepisce in due circostanze.

La prime è nel caso in cui il ginecologo riconosciuto dalle Asl, certifichi che le condizioni di salute della lavoratrice, non siano idonee a continuare a lavorare, anche nei periodi precedenti la data di maternità obbligatoria. In alternativa, ma in questo caso sarà l’Ispettorato del lavoro a dover certificare la situazione, ci sono le prescrizioni del posto di lavoro.

In pratica, l’Ispettorato certificherà che il luogo di lavoro o le mansioni svolte, non si addicono ad una donna in attesa, mettendone a rischio la continuità della gravidanza.

Come funziona?

Naturalmente, le lavoratrici, per beneficiare di queste misure, devono rispettare determinati requisiti. Per accedere all'indennità, la futura mamma dovrà aver maturato 52 settimane (un anno pieno) di lavoro nei 2 anni precedenti la domanda di congedo per maternità, o in alternativa, 26 settimane nell’anno precedente. La lavoratrice ha diritto all’80% dello stipendio e come dicevamo, sarà l’Inps ad erogarlo. Il datore di lavoro infatti non è tenuto a pagare la maternità e nemmeno a versare i relativi contributi.

L’unica cosa che rimane a carico del datore di lavoro è la continuità di Tfr, mentre per le ferie e la tredicesima, anche i periodi di maternità, contribuiscono alla maturazione dei due diritti spettanti alla lavoratrice. Il datore di lavoro emetterà comunque busta paga, anche se a zero ore ed a zero emolumenti, cioè con stipendio zero. Anche l’istituto del licenziamento è identico agli altri settori, con la futura madre che non può essere licenziata perché incinta, a meno che non lo sia stata già prima dell’assunzione e che lo abbia nascosto al datore di lavoro. Per i padri invece, scatta il diritto di assentarsi dal lavoro per due giorni, in concomitanza con la nascita del figlio. Lo stipendio di quei due giorni sarà pagato al 100% dal datore di lavoro.