Il panorama previdenziale italiano si arricchisce di due nuove misure introdotte dall’ultima Legge di Stabilità, cioè APE e Quota 41. Le misure, nate in manovra finanziaria, per essere definitive devono seguire un particolare iter, perché non basta crearle per renderle attive. Ecco che sono necessari i decreti attuativi che di norma escono a 60 giorni dall’entrata in vigore della manovra di bilancio. In sensibile ritardo, i decreti si stanno ancora ultimando, con il passaggio obbligatorio alla Corte dei Conti per il lato delle coperture finanziarie ed al Consiglio di Stato, per la verifica della legittimità dei vari punti.

Proprio i giudici del Consiglio di Stato hanno mosso rilievi di illegittimità su alcuni punti dei decreti, oltre che chiedere al Governo di rivedere le date di presentazione delle domande e quelle delle relative risposte da parte dell’INPS.

Istanze di certificazione e domande di pensione

Le misure previste sarebbero dovute partire il 1° maggio, ma come dicevamo, il ritardo dei decreti, le farà slittare di qualche settimana. Sul tema delle date di presentazione delle domande, c’è da sottolineare come la procedura di richiesta sia particolare. In primo luogo va presentata richiesta di certificazione del diritto, cioè va chiesto all’INPS di ratificare il fatto che il richiedente rientri o meno nell’APE o in quota 41.

Solo dopo l’avvenuta conferma da parte dell’INPS, di avere diritto alle uscite anticipate, che sia l’APE o quota 41, sarà possibile presentare domanda di pensione. Nel caso dell’APE, con la domanda di anticipo, va presentata anche quella di pensione vera e propria, cioè quella che si sarebbe dovuta presentare a 66 anni e 7 mesi.

Il Consiglio di Stato, visti i ritardi, chiede al Governo di spostare al 31 luglio la data di scadenza delle istanze di certificazione inizialmente prevista per il 30 giugno. Le risposte del monitoraggio dell’INPS invece, dovrebbero slittare al 30 settembre, anche se su questo, ci sono i problemi del comparto scuola che prevedono la finestra di uscita dal lavoro e quindi della pensione, al 1° settembre di ogni anno.

Per i precoci e per la loro quota 41, la situazione è ancora peggiore, perché le istanze sarebbero dovute scadere il 1° giugno. Anche per quota 41, il Consiglio di Stato chiede di posticipare le scadenze al 31 luglio.

Illegittimi i decreti?

Come se non bastasse il ritardo già maturato nell’emanazione dei decreti, il Consiglio di Stato ha mosso alcuni rilievi su molti punti dei decreti attuativi. Rilievi questi che sicuramente non gioveranno alla rapida partenza delle misure. In altre parole, a ritardo si accumulerà altro ritardo. Per i giudici, la documentazione che viene richiesta ai lavoratori in sede di presentazione delle istanze è esagerata e sarebbe opportuno che venga corretta con una autocertificazione da parte dei richiedenti.

Anche i limiti reddituali che portano alla decadenza del diritto a percepire l’APE sociale sono illegittimi. La norma prevede che si ha diritto all’APE se durante il periodo di fruizione dell’assegno, vengano accumulati redditi di lavoro dipendente o parasubordinato fino ad 8.000 euro, oppure fino a 4.800 euro se provenienti da lavoro autonomo. Oltre queste soglie, non si percepisce l’APE sociale. Per il Consiglio di Stato va inserita una norma di garanzia, che preveda la restituzione delle differenze non dell’intera APE percepita in caso di superamento di queste soglie. Anche le graduatorie con cui il Governo vuole erogare gli assegni in caso di superamento delle risorse disponibili è di fatto bocciato dal CDS.

Non si potrà utilizzare il criterio dell’età rispetto alla pensione di vecchiaia, come fattore di priorità nell’erogazione dell’APE. L’unico criterio legale, sempre secondo il Consiglio di Stato è la data di maturazione dei requisiti di accesso ed al massimo, quello della data di presentazione dell’istanza. Infine, dal punto di vista delle norme da applicare, il Consiglio ha bocciato l’evidente discriminazione a cui sarebbero soggetti i lavoratori agricoli o i disoccupati senza i requisiti per accedere alla NASPI. Un lavoratore che non ha percepito l’indennità per disoccupati perché non ne aveva diritto, sarebbe fuori anche dall’APE sociale, non riuscendo a centrare il requisito dei 3 mesi dall’ultima NASPI percepita.

Per lo stesso requisito, gli , che percepiscono la loro speciale indennità di settore l’anno successivo al licenziamento, anche l’APE verrebbe percepita con un anno di ritardo rispetto ai requisiti previsti.