Il Lavoro domestico è una realtà in continua espansione perché sono milioni le famiglie italiane che richiedono l’aiuto di colf, badanti e baby sitter. Un lavoro che ha da poco visto rinnovare il CCNL di categoria, cioè il contratto collettivo, ma che continua ad essere diverso in quanto a tutele rispetto agli altri contratti. Nelle ultime settimane, il lavoro domestico è stato accostato all’abolizione dei voucher, buoni lavoro molto utilizzati anche in questo settore. La nascita dei libretti famiglia mette a disposizione delle famiglie uno strumento utile a regolarizzare il lavoro occasionale, ma che non sostituisce affatto il contratto.

Infatti, utilizzare un lavoratore a tempo pieno necessita di regolare contratto. In questo caso però i problemi nascono in sede di licenziamento, con un CCNL che adotta metodi diversi dagli altri settori lavorativi, con meno tutele per i lavoratori, ma non senza regole. in aiuto il nuovo portale Inps, che facilita le operazioni a partire dal pagamento dei contributi e fino alla chiusura del rapporto di lavoro, come sottolinea il noto sito di categoria, colfebadantionline.it. Ecco cosa bisogna sapere nel momento in cui un lavoratore viene licenziato.

Il lavoro domestico

Regole diverse perché diversa è la tipologia di lavoro quando si parla di colf e badanti. In primo luogo, varia il datore di lavoro che è una famiglia e non un soggetto privato classico come un imprenditore o una azienda.

Proprio per questo, la tutela di colf e badanti, in materia licenziamento, è più debole rispetto alla tutela spettante alla generalità dei lavoratori dipendenti. In linea generale il rapporto di lavoro alle dipendenze di una famiglia cessa automaticamente per scadenza del termine, mancato superamento della prova, risoluzione consensuale, dimissioni, morte del lavoratore o del datore di lavoro ed infine, cosa più complicata, per licenziamento.

Il datore può licenziare il lavoratore domestico senza necessità di giusta causa o giustificato motivo, ma deve sempre darne preavviso, a meno che non si ricada invece in un licenziamento per giusta causa. Le regole sul preavviso per il 2017 sono variabili in funzione delle ore di lavoro come contratto e della durata del rapporto di lavoro.

Per rapporti di lavoro di durata inferiore a 2 anni e di orario di lavoro inferiore a 25 ore a settimana, il licenziamento deve essere preannunciato per iscritto 8 giorni prima. Si sale a 15 giorni se l’anzianità di servizio del dipendente è superiore ai 2 anni. Per contratti che prevedono orari di lavoro più lunghi, se l’anzianità di servizio è inferiore a 5 anni, il preavviso è di 15 giorni, mentre sale a 30 giorni per dipendenti al lavoro da più anni. Se il datore di lavoro sfora questi limiti di preavviso, il lavoratore deve essere risarcito con il pagamento di una indennità sostitutiva che deve essere pari alla retribuzione giornaliera per ogni giorno di preavviso mancante.

Altri diritti del lavoratore

Sempre in materia di preavviso, cambiano le durate in virtù di un’altra particolarità del lavoro domestico, quello che prevede la concessione di un alloggio al lavoratore. In questo caso, servono 30 giorni di preavviso per rapporti di lavoro che durano da meno di un anno e salgono a 60 per anzianità di servizio più lunghe. Al licenziato, anche nel caso di giusta causa o dimissioni, spetta il TFR, la liquidazione o buonuscita che dir si voglia. Il lavoratore matura l’equivalente della retribuzione di un anno di lavoro diviso per 13,5. In più, per ogni anno successivo, quanto accantonato deve essere rivalutato del 1,5% annuo e del 75% del asso di inflazione Istat. Inoltre, nel momento del licenziamento, vanno erogate al lavoratore le ferie non usufruite e la quota di tredicesima maturata. Per esempio, un licenziamento avvenuto ad agosto 2017, da diritto alla tredicesima maturata da gennaio ad agosto, cioè ad uno stipendio diviso 8.