Che le donne siano tra le più penalizzate in termini di requisiti di accesso è cosa risaputa. Lo è anche il fatto che dal 2018 anche per loro la pensione si percepirà a 66 anni e 7 mesi come per gli uomini o che dal 2019 si passerà a 67 anni per via dell’aspettativa di vita aumentata e confermata dall’Istat il 24 ottobre scorso. Donne che sacrificano la carriera ed il proprio posto di lavoro per la famiglia, oppure che devono lasciare (per sempre o momentaneamente) il lavoro per mettere alla luce i figli, sembrano non interessare le norme previdenziali che dal 2010 stanno diventando sempre più opprimenti, soprattutto per le donne.
Un articolo della nota agenzia di stampa Ansa del 25 ottobre in edizione digitale mostra con esempi dettagliati quello che è successo alle donne in termini di accesso alle pensioni negli ultimi anni.
Una perdita sensibile
Ricapitolando, nel 2018 le donne perderanno l’anno di anticipo previsto dalla normativa vigente fino al 2017. Uno scatto previsto in funzione dell’equiparazione dell’età anagrafica per l’accesso alla pensione di vecchiaia tra uomini e donne come sponsorizzato anche dalla Unione Europea. Dal 2018 si va di pari passo, senza distinzioni di genere e pertanto dal 2019 si arriverà alla soglia dei 67 anni. Questo a meno che la politica non trovi una soluzione al meccanismo dell’aspettativa di vita che l’Istat il 24 ottobre ha confermato in aumento.
Nel 2010 le lavoratrici andavano in pensione a 60 anni di età tondi ed in pratica, in circa 7 anni di tempo, le lavoratrici hanno perduto 7 anni di pensione. E pensare che fino al 1992 per alcune di loro (le lavoratrici del pubblico impiego) esistevano le cosiddette baby Pensioni, cioè la possibilità di pensionarsi a 35 anni di età con soli 14 anni 6 mesi ed un giorno di contributi.
Le nate nel 1953
Una delle categorie di lavoratrici a cui era data la possibilità della baby pensione erano le nate nel 1953. Un soggetto che aveva iniziato a lavorare nel settore pubblico (una maestra o una dipendente delle poste per esempio) all’età di 21 anni, ha potuto scegliere di dedicarsi alla famiglia andando in pensione a 35 anni di età per l’appunto.
Nell’esempio Ansa, una collega di banco di questa baby pensionata, cioè anch’essa nata nel 1953 ma che aveva deciso di laurearsi e intraprendere una carriera nel settore privato, si trova oggi a dover ancora lavorare. Infatti, ipotizzando l’inizio della sua carriera a 27 anni circa, si trova oggi a 64 anni di età, senza i 41 e 10 mesi necessari per la pensione anticipata e senza i 66 anni e 7 mesi di età necessari per la pansione. A questa coetanea della baby pensionata, la pensione sarà possibile solo nel 2020, con oltre 30 anni di distanza dalla sua “amica” di scuola. Un enormità frutto di leggi che molti non comprendono e che hanno contribuito a disastrare il sistema pensionistico nostrano.