Il rinvio della decisione sulla conferma dello slittamento di cinque mesi dell'età pensionabile a partire dal 1° gennaio 2019 entra ufficialmente in Parlamento, attraverso emendamenti bipartisan, provenienti sia dal Partito democratico che dalle opposizioni. In sostanza, si chiede il posticipo della scelta al 30 giugno 2018, quando sarà in carica un nuovo governo al termine del voto in primavera. Per legge, il decreto dovrebbe arrivare un anno prima rispetto a quando è previsto l'eventuale nuovo adeguamento, e cioè entro il 31 dicembre 2017. Il pressing sul governo portato sia da maggioranza che opposizione invece è tale che il rinvio diventa un'opzione credibile.

Molto più di quanto non lo sia mai stata fino ad oggi.

In pensione a 67 anni oppure no?

Dall'iniziale scetticismo, derivante dalle parole del premier Paolo Gentiloni e del ministro dell'Economia Padoan, si è passati in un paio di settimane ad un'apertura concreta rispetto alle richieste dei sindacati e dei principali esponenti del Partito democratico, con in testa il segretario Matteo Renzi. Giorno dopo giorno prende sempre più quota l'ipotesi di un rinvio a giugno del prossimo anno, quando la patata bollente passerà nelle mani del nuovo governo che uscirà dalle votazioni delle prossime elezioni politiche della primavera 2018.

Ad aver insistito fin dall'inizio sul posticipo al prossimo anno è stato Cesare Damiano (Pd), presidente della commissione Lavoro alla Camera.

L'onorevole dem si è sempre battuto per una revisione del meccanismo, a cui si sarebbe dovuti arrivare con una approfondita discussione, i cui tempi evidentemente non conciliavano con la fretta dell'esecutivo di far scattare l'aumento dell'età pensionabile dopo la conferma dei dati Istat. Quest'ultimi hanno dato il semaforo verde all'adeguamento automatico dell'età pensionabile di cinque mesi nel biennio 2019-2020, per effetto dell'aumento della speranza di vita nel triennio 2014-2015-2016.

Oggi intanto ci sarà il confronto fra sindacati e governo. L'incontro si terrà, diversamente dagli altri, a Palazzo Chigi, alla presenza del primo ministro Paolo Gentiloni. I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil presenteranno al premier la loro richiesta di revisione del meccanismo legato all'aspettativa di vita, con cui ogni tot di anni viene alzata l'asticella dell'età pensionabile per tutti.

In più di un'occasione le sigle sindacali hanno ribadito come l'adeguamento automatico dei requisiti anagrafici per andare in pensione sia da cambiare, anche perché non tutti i lavoratori hanno la medesima speranza di vita.

Negli ultimi giorni, un'indiscrezione del Corriere della Sera ha riportato l'ipotesi che il governo possa venire incontro alle richieste dei sindacati bloccando l'aspettativa di vita alle 11 categorie dell'Ape sociale. Nella giornata di ieri vi abbiamo dato conto delle dichiarazioni di Giuliano Poletti, il quale ha affermato come si debba decidere chi svolge lavori gravosi o usuranti su basi scientifiche. Una visione analoga è quella manifestata da Tito Boeri, che però è andato anche oltre.

Il presidente dell'Inps, in occasione del convegno "VisitInps: un anno dopo", ha affermato che i datori di lavoro di chi svolge attività usuranti debbano pagare contributi più alti. In questo modo - l'analisi proposta da Antonio Signorini de Il Giornale - sarebbero gli stessi datori di lavoro a farsi carico, attraverso dei contributi extra, anche dell'assistenza. Durante il convegno, il numero uno dell'Inps in riferimento alle 11 categorie che verrebbero escluse dall'aumento dell'età pensionabile si è domandato su che basi scientifiche vengano dichiarati lavori gravosi, sottolineando la necessità di una collaborazione fra la stessa banca dati Inps e quelle del ministero del Lavoro e dell'Inail. Da dati scientifici e non dalla mano della politica, secondo Boeri, dovrebbero essere certificate le mansioni realmente gravose.