I lavoratori precoci continuano la loro battaglia per chiedere al Governo Gentiloni una misura che possa estendere il meccanismo di Quota 41 a tutti coloro che sono rimasti esclusi dalle precedenti norme in materia previdenziale contenute nella Legge di Stabilità 2017.
Governo concentrato sul blocco dell'adeguamento
Infatti, dopo il continuo pressing delle organizzazioni sindacali il Governo sembrerebbe maggiormente concentrato sull'adeguamento dei requisiti alla speranza di vita che a partire dal 2019 determinerebbe un ulteriore aumento dell'età pensionabile fino al raggiungimento dei 67 anni di età per il conseguimento della pensione di vecchiaia.
Un argomento sul quale si discute ormai da molti mesi e che potrebbe essere ripreso a margine dei lavori per la nuova Legge di Stabilità 2018 che con molta probabilità entrerà in vigore il prossimo anno. L'ipotesi al momento più plausibile consisterebbe nell'esentare circa 15 mila lavoratori dall'aumento dell'età pensionabile: si tratta delle undici categorie individuate dalla Legge di Stabilità 2017 che svolgono principalmente mansioni usuranti e gravose.
Dai conciatori di pelle, ai facchini, agli edili, alle maestre d'asilo, ai macchinisti e ai conduttori di gru e mezzi pesanti. Sono queste le categorie che potrebbero ricevere una risposta dal Governo. Un numero che potrebbe arrivare a circa 17 mila unità qualora venissero compresi anche i lavoratori agricoli, siderurgici e marittimi.
Molti precoci rimasti penalizzati
A preoccupare di più, però, è la mancata attenzione verso i lavoratori precoci che hanno presentato istanza per accedere al meccanismo di Quota 41: si tratta di circa 26.251 domande presentato delle quali sono stati accolte solo il 28 %. Circa 18.411, infatti, sarebbero state respinte mentre le rimanenti 484 sarebbero ancora in fase di istruttoria.
E' questo il motivo che induce gli stessi lavoratori a chiedere interventi all'esecutivo per evitare anche gli scatti automatici previsti per il 2019 visto che, nonostante abbiano una lunga carriera contributiva alle spalle sarebbero costretti a lavorare fino al raggiungimento di almeno 43 anni e 3 mesi di contribuzione. Molti di questi, però, avrebbero perso l'occupazione ma non avrebbero raggiunto i 63 anni di età anagrafica previsti per l'accesso all'Ape Sociale; ciò penalizza ulteriormente questa categoria di lavoratori che tuttora attende una risposta a partire dalla Legge di Bilancio 2018.