Nato come deterrente ai licenziamenti dei propri dipendenti e come veicolo di finanziamento della naspi dal 2012, è in vigore il ticket licenziamenti. La Legge Fornero impose una norma che costringeva i datori di lavoro a pagare un contributo quando licenziavano un loro lavoratore. Il ticket licenziamento infatti è proprio il contributo dovuto da aziende, imprese e datori di lavoro nel caso licenzino dipendenti assunti con contratti a tempo indeterminato. Criticato e contestato da subito, il provvedimento è ancora vigente e nel 2018 sarà ancora più aspro.

La Legge di Bilancio appena entrata in vigore infatti ne ha variato gli importi che in alcuni casi raddoppiano rispetto al 2017. Ecco il funzionamento di questo istituto, quando e da chi è dovuto e tutte le altre nozioni utili.

Come si calcola

Il contributo chiesto alle aziende è pari al 41% dell’importo massimo di Naspi concedibile al lavoratore che sta per diventare disoccupato e fruitore dell’ammortizzatore sociale Inps. Il ticket è strettamente legato alla Naspi sia perché nato proprio per dare ossigeno alle casse dell’Inps in funzione dei pagamenti dell’indennità di disoccupazione e sia perché è da pagare solo nei casi in cui il lavoratore licenziato avrebbe diritto alla Naspi. Calcolando che per il 2018 la cifra di indennizzo per disoccupati massima concedibile è ancora di € 1.195 al mese, il 41% di cui parlavamo prima sarà pari ad € 490 circa.

Questo l’importo dovuto per ogni anno di lavoro del dipendente appena licenziato. Importo dovuto per gli ultimi 3 anni di lavoro, pertanto una azienda che va a licenziare un suo dipendente assunto da 3 o più anni è tenuta a versare 1470 euro.

Quado pagare e quando no

Il versamento dovuto che sostituisce la tassa per l’iscrizione del lavoratore nelle liste dei disoccupati e che era dovuta prima della Legge Fornero va effettuato entro il 16° giorno del secondo mese successivo a quello in cui si verifica l’evento del licenziamento.

Ripetiamo, il contributo è dovuto per finanziare l’eventuale Naspi del lavoratore e proprio per la relazione con la Naspi, esso non è dovuto nel caso in cui sia il lavoratore a presentare dimissioni proprio perché in questi casi la Naspi non sarebbe dovuta. Come per la Naspi pertanto, i datori di lavoro sono tenuti a pagare il contributo per licenziamenti, dimissioni per giusta causa, risoluzioni consensuali provenienti da conciliazioni di fronte alla Direzione Territoriale del Lavoro e licenziamenti collettivi.

Nessun pagamento viene richiesto per licenziamenti da scadenza contratto, da cambio di appalto o da chiusura di cantiere.

Le novità 2018

Per quanto riguarda i licenziamenti collettivi l’importo del ticket per il 2018 è raddoppiato. Questa la grande novità introdotta dall’ultima Legge di Stabilità. In pratica aliquota raddoppiata al 82% per quelle aziende che provvedono a licenziamenti collettivi e che rientrano nell’area di intervento della Cassa Integrazione (CIGS). A questi datori di lavoro per i dipendenti più anziani licenzianti verrà chiesto un contributo massimo di 8.820 euro a lavoratore. Resta fermo il fatto che nei casi in cui le procedure di licenziamento collettivo con dichiarazioni di esubero non siano collegate ad eventuali accordi sindacali, il contributo viene triplicato come già previsto nel 2017 perché venne meno il contributo di ingresso alla mobilità dovuto sempre dalle aziende.

Inoltre va ribadito il concetto che il contributo dovuto è indipendente dal fatto che il lavoratore e adesso disoccupato, percepisca o meno l’indennità Inps, cioè la Naspi. In pratica l’Azienda è tenuta a versate il corrispettivo per il ticket licenziamenti anche se il disoccupato non presenti la domanda di disoccupazione perché ha trovato immediato nuovo impiego.