La pensione anticipata è il nome nuovo con cui, a partire dalla Legge Fornero, il sistema previdenziale riconosce le Pensioni di anzianità. Per le donne si va in pensione con 41 anni e 10 mesi di contributi versati e per gli uomini con 42 anni e 10 mesi. Si tratta della misura distaccata da qualsiasi limite, soglia o requisito anagrafico e probabilmente la più contestata dai cittadini che nel tempo si sono visti aumentare gli anni di lavoro necessario per centrarla. Basti pensare che la pensione di anzianità prima della Fornero si centrava con 40 anni di contribuzione.

Anno dopo anno, la misura si aggancia all’aspettativa di vita che, aumentando, produce il conseguente aumento dei contributi da raccogliere per centrare l’uscita dal lavoro. Molti italiani sicuramente non saranno d’accordo ma un noto economista con una intervista rilasciata sul quotidiano “Il Sole24Ore” di oggi punta il dito proprio contro le pensioni anticipate, definendole una sciagura da cancellare.

Chi è Sandro Gronchi

Le pensioni anticipate andrebbero cancellate perché la pensione dovrebbe essere centrata solo per età e senza nessun tipo di contributo richiesto. In parole povere la quiescenza dovrebbe essere consentita a partire da una età prestabilita perché poi il sistema di calcolo contributivo farà il resto, cioè determinerà gli importi delle prestazioni pensionistiche, che naturalmente saranno più elevati per chi ha più anni di lavoro.

Questo il pensiero riportato sulle pagine del quotidiano e provenienti da Sandro Gronchi, noto economista che, tra le altre cose, è stato anche consulente del Governo Dini e di altri Esecutivi. Si tratta di uno dei massimi esperti italiani in materia previdenziale nonché Economista all’Università “La Sapienza”.

Flessibilità in uscita

Nella sua intervista Gronchi sottolinea come la riforma Fornero, oltre che naturalmente salvaguardare i conti dello Stato e la sostenibilità del nostro sistema previdenziale ha immesso nel meccanismo concetti previdenziali che vanno nell’indirizzo della flessibilità. In linea con uno dei sistemi valutati come migliori, quello svedese, la Fornero stabilì una uscita per età tra i 63 ed i 66 anni, anche se alle soglie minime di pensione si accede solo con assegni pensionistici elevati.

Infatti si può andare in pensione con 64 anni di età solo se l’assegno che si va a percepire è quanto meno pari a 2,8 il minimo consentito. Man mano che sale l’età, si abbassa l’importanza dell’importo dell’assegno che scende ad 1,5 volte il minimo. Secondo l’economista invece, la pensione dovrebbe comunque essere erogata, a prescindere dagli importi e quindi dai contributi versati. Questo per evitare ciò che accade oggi, cioè che quando un soggetto non riesce a centrare sia il requisito anagrafico che quello dei contributi versati e quindi dell’entità dell’assegno, deve restare al lavoro fino a 70 anni.

L’aspettativa di vita

Tutto ciò senza considerare che l’aspettativa di vita ha già prodotto un drastico aumento della forbice di uscita prevista dalla Fornero salita a 64/67.

L’indice di longevità degli italiani non è costante e siccome l’aspettativa di vita influisce sulle pensioni, il sistema contributivo secondo Gronchi, anche se nasce nell’ottica della flessibilità, non raggiunge l’obbiettivo. Le pensioni anticipate infine, secondo l’intervistato permettono uscite intorno ai 57 anni, cosa che non si registra in nessun altro paese europeo. Anche se nel 2019 la pensione di anzianità si centrerà per i maschi con 43 anni e 3 mesi di età, segnando l’ingresso nel mondo del lavoro alla fine dell’obbligo scolastico, quindi intorno ai 15 anni, il massimo anticipo sarebbe comunque a 58 anni. Troppo presto secondo Gronchi e soprattutto, un meccanismo che crea disparità e vantaggi solo per chi ha avuto la fortuna di trovare lavori e carriere durature e senza interruzioni per perdita di occupazione o lavoro nero.