Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini ieri 4 settembre ha confermato che quota 100 dovrebbe essere inserita nella manovra finanziaria del governo. Che sia con vincoli e paletti o libera per tutti i lavoratori come dice Salvini, la misura si avvicina costantemente. Partirà da quota 100 la riforma delle Pensioni che il governo continua a promettere e che dovrebbe proseguire con la nuova anticipata per i precoci e con altri piccoli aggiustamenti. L’obiettivo è sempre lo stesso, superare o cancellare la riforma Fornero. Intanto, dal 2019 e per gli anni a seguire, proprio la riforma del governo Monti continuerà a sortire effetti in termini di requisiti di uscita dal lavoro.

Aumenteranno sia età che contributi necessari per le pensioni di vecchiaia e pensioni anticipate, ma allo stesso tempo resteranno in vigore alcune misure che consentono scivoli in anticipo previsti proprio dalla legge Fornero. Tra l’altro, la Ragioneria di Stato ha da poco rivisto le stime dell’aspettativa di vita collegata alle prestazioni previdenziali, rimodulando il quadro degli aumenti dei requisiti previsti per gli anni successivi al 2019. Come si può andare in pensione nel 2019 e come si andrà negli anni successivi? Vediamo di chiarire quello che accadrà alla previdenza italiana prima della eventuale riforma del nuovo governo.

Tutto fermo fino al 2022

Novità importanti quindi sulle pensioni e sui requisiti di uscita e non solo per la probabile ma ancora ipotetica riforma del governo Conte con il varo della ormai celebre quota 100.

Le pensioni di vecchiaia e quelle anticipate seguiranno anche nel 2019 le regole imposte dalla legge Fornero. In altre parole, le prestazioni previdenziali più conosciute seguiranno il meccanismo dell’adeguamento di età e contributi necessari, alla speranza di vita. La Ragioneria dello Stato come accennavamo in premessa, ha rivisto le modalità di aumento dei requisiti per le quiescenze che prevedevano il doppio scalino nel 2019 e nel 2021.

In pratica, il 2019 segnerà il già certo aumento di 5 mesi sia per le pensioni di vecchiaia che per quelle anticipate, mentre i tre mesi di aumento previsti per il 2021 sono stati cancellati. In pratica, le pensioni di vecchiaia si centreranno con 67 anni di età e 20 di contributi dal 2019 e così fino al 2022. Lo stesso accadrà per le pensioni anticipate, quelle slegate da vincoli di età e che dal prossimo 1° gennaio si percepiranno al raggiungimento dei 43 anni e 3 mesi di contributi versati per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne.

Anche le anticipate alternative restano congelate

La pensione di vecchiaia contributiva, riguardante i lavoratori che hanno pochi anni di contributi versati (ne bastano 5) dal 1° gennaio 2019 potranno lasciare il lavoro con 71 anni di età e sempre per via della revisione da parte della ragioneria di Stato, sarà così fino al 2022. Questa prestazione è appannaggio di soggetti che hanno iniziato a versare contributi solo a partire dal 1° gennaio 1996. La pensione con quota 41 destinata a precoci, cioè che hanno almeno un anno di con tributi versati prima dei 19 anni di età e che allo stesso tempo sono alternativamente, invalidi, soggetti con invalidi a carico, disoccupati o alle prese con attività logoranti e gravose, dal prossimo gennaio necessiteranno di 41 anni e 5 mesi di contributi versati e varrà così per tutto il quadriennio 2019-2022.

Lo scatto di ulteriori 3 mesi in pratica viene abbuonato per l’anno 2021 in cui era previsto. Lo scatto ad oggi è slittato al 2023, per poi salire di tre mesi ogni biennio fino al 2030, quando per esempio, la normale pensione di anzianità si percepirà con 44 anni e 4 mesi di lavoro e quella di vecchiaia con 67 anni e 9 mesi di età. Questo a meno che la riforma dell’attuale esecutivo non rimescoli per davvero le carte, perché dopo la quota 100, nell’arco dell’intera legislatura, nelle ipotesi di Movimento 5 Stelle e Lega permane l’obiettivo di cancellare per davvero le attuali regole previdenziali e riformare profondamente tutto il sistema.