Nulla è ancora ufficiale ma con ogni probabilità dal prossimo anno molti lavoratori potrebbero andare in pensione già a 62 anni. La ormai imminente prossima legge di Bilancio avrà un pacchetto Pensioni che prevedrà quasi certamente la quota 100. Ormai la misura sembra aver trovato la quadratura con i limiti anagrafici fissati a 62 anni e quelli contributivi a 38. Difficile che vengano apportate modifiche sostanziali a questi limiti nei requisiti utili a centrare la nuova misura. Anche sul meccanismo tutto sembra ogni giorno che passa più chiaro ed il quotidiano “Il Messaggero” con un articolo di oggi 04 settembre presenta un approfondimento importante per quanto riguarda la quota 100 e le penalizzazioni che sembra non saranno più applicate alla misura.

Quota 100 e pensione di vecchiaia

Il vantaggio massimo dalla nuova misura lo troveranno i lavoratori che nel 2019 compiranno 62 anni di età. Se questi soggetti oltre all’età, sempre nel 2019 completeranno i 38 anni di contribuzione necessaria, potranno lasciare il lavoro 5 anni prima rispetto alla soglia di età pensionabile prevista per la pensione di vecchiaia. Anziché aspettare 67 anni, si potrà uscire a 62, anche se rispetto alla pensione di vecchiaia, questa quota 100 prevede un montante contributivo nettamente superiore, da 20 a 38 anni. Vantaggio che aumenta se si pensa che un soggetto di 62 anni con 38 di contributi, per centrare la pensione anticipata che nel 2019 salirà a 43 anni e 3 mesi, avrebbe dovuto lavorare ancora 5 anni e 3 mesi.

La misura però non consentirà l’uscita in anticipo a chi non ha carriere di lavoro lunghe, cioè al di sotto dei 38 anni di lavoro per i quali resterà da attendere il compimento dei 67 anni di età per poter lasciare il lavoro.

Il limite dei contributi

Se l’età fissata a 62 anni è il parametro sul quale da tempo il governo punta, nelle ultime settimane i 38 anni di contribuzione previdenziale necessari sono diventati il tetto che l’esecutivo vorrebbe inserire nella misura alla voce requisito contributivo.

In pratica, serviranno sempre 38 anni di contribuiti anche per chi ha più di 62 anni di età per centrare la quota 100. Che siano 63, 64, 65 o 66 anni, per lasciare il lavoro occorrerà completare quel percorso di lavoro coperto dai versamenti previdenziali che per il sessantaseienne porterà la quota da centrare a 104. La soglia di età e contributi fissata in questo modo consente al governo di evitare l’inserimento di altri paletti restrittivi per la misura.

In primo luogo, parlando sempre di contributi da accumulare, il limite di quelli figurativi sembra cestinato. Sembrava che l’esecutivo avesse intenzione di limitare a massimo due anni i contribuiti figurativi utili a raggiungere la soglia minima richiesta per la quota 100. Nelle ultime ore questo vincolo sembra non più di attualità ed anche soggetti con carriere discontinue e che fanno ricorso sovente agli ammortizzatori sociali non avranno difficoltà a raggiungere la quota 38 potendo utilizzare anche i contributi relativi a cassa integrazione o Naspi.

Altra penalizzazione che sembra essere stata accantonata dal governo è quella relativa al taglio degli assegni pensionistici erogati con quota 100.

La pensione non dovrebbe più essere calcolata con il sistema contributivo per i periodi di lavoro successivi al 1995 che di fatto consisteva in una ipotetica riduzione di assegni pari al 15% medio. Inoltre, nessuna riduzione di pensione in base agli anni di anticipo centrati con la quota 100 rispetto alla pensione di vecchiaia. In questo caso sembrava che ai neo pensionati con la novità previdenziale si andasse ad imporre una riduzione di assegno pari all’1,5% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni.