Le discussioni su quota 100 continuano ad essere molteplici, soprattutto in queste frenetiche ore in cui il governo sta completando la manovra finanziaria e con la necessità, per così dire, di farla mandare giù alla UE. Molto importante sarà la percentuale delle persone che sceglieranno la nuova misura per lasciare il Lavoro, perché in base a quanti saranno, la misura potrà essere o meno sostenibile. Va ricordato che la manovra finanziaria è stata preparata in deficit, con un aumento della soglia che secondo Bruxelles doveva essere prevista. L’aumento della spesa pubblica anche per via di quota 100, l’impatto della misura su debito pubblico e Pil non sono fattori da trascurare.

Probabilmente però, le stime iniziali sull’impatto di quota 100, oltre che sui conti pubblici, anche in termini di appetibilità verso i cittadini, era sovrastimata. Una interessante analisi prodotta dalla Cisl, mette in dubbio l’appeal che la misura avrà verso i lavoratori, molti dei quali potrebbero rinunciare a quota 100 anche avendone i requisiti. Non tutti trarranno vantaggi da quota 100, come conferma lo studio del sindacato. Lavoratori maschi e lavoratori pubblici sarebbero quelli a cui la misura sembra rivolgersi con elementi più favorevoli e in base all’ingresso nel mondo del lavoro ci sarebbero controindicazioni ad optare per la quota 100.

Donne penalizzate, ma non solo

Andare in pensione con quota 100 significa avere assegni più bassi, non per penalizzazioni insite nella misura, bensì per il minor anno di contributi versati visto che si lascia il lavoro in anticipo.

A questo va aggiunto che, sempre per via dell’anticipo di pensione, il coefficiente che trasforma i contributi in pensione sarà penalizzante, come accade per tutte le misure previdenziali oggi vigenti. Perdite che l’esperto previdenziale della Cisl, Maurizio Benetti, ha calcolato rispetto alle Pensioni di vecchiaia a 67 anni o alle pensioni anticipate con 43 anni e 3 mesi di contributi, che sono le due nuove soglie previste per il 2019 per i due pilastri del sistema pensionistico italiano.

Dallo studio emerge che quota 100 è strumento riservato ai lavoratori per così dire “forti”, quelli che hanno carriere lunghe e continue, nella maggior parte dei casi uomini e soprattutto, lavoratori pubblici.

La struttura della misura infatti prevede due paletti fissi, quello anagrafico dei 62 anni e quello contributivo dei 38 anni.

Quota 100 a 62 anni e 38 di contributi è l’unica combinazione possibile che consolida il nome della misura. Infatti essendo fisso il requisito contributivo dei 38 anni, parlare di quota 100 per chi ha 63 anni, 64 anni e così via, non è giusto. Infatti, lavoratori con età superiore ai 62 anni usciranno con quota 101, quota 102 e via dicendo. I 38 anni di contribuzione richiesta saranno ostacolo arduo da superare per lavoratrici che spesso hanno sacrificato la carriera per la cura dei figli e della famiglia, e sarà difficile limite da centrare anche per i lavoratori che hanno carriere discontinue come gli stagionali, gli edili, gli agricoli o quelli che specie negli ultimi anni, hanno avuto a che fare con il precariato.

A 28 anni i paventati vantaggi si azzerano

I vantaggi di quota 100 sembrano evidenti per chi è entrato al lavoro intorno ai venti anni di età, cioè piuttosto giovani. Rispetto alla pensione anticipata del 2019, che si centrerà a 43 anni e 3 mesi per gli uomini o a 42 anni e 3 mesi per le donne, la quota 100 produrrebbe un vantaggio di 5 anni e 3 mesi, favorendo l’uscita con 38 anni di contributi. In relazione alle quiescenze anticipate, secondo lo studio il vantaggio maggiore sarebbe appannaggio di chi ha iniziato a lavorare a 23 anni circa, che anziché attendere i 65 anni di età per centrare la pensione anticipata, potrà lasciare il lavoro a 62 anni. Le perdite in termini di assegno pensionistico per il minor gettito di contribuzione previdenziale accumulata, si recupera grazie ai maggiori anni di fruizione della pensione.

Evidente che chi ha iniziato prima la propria carriera ha convenienza con la quota 100 con la pensione di vecchiaia a 67 anni. Questi dovranno scegliere se anticipare l’uscita con quota 100 o attendere ancora 4 anni per la pensione di vecchiaia. Infatti, pur continuando a lavorare ininterrottamente, chi ha iniziato il lavoro tra 24 e 25 anni di età, non rientrerà mai nella pensione anticipata.

Per coloro che hanno iniziato a lavorare stabilmente a 28 anni invece, la misura non appare affatto conveniente, essendo ormai vicini all’orbita della pensione di vecchiaia canonica. Convenienza inoltre che va calcolata anche rispetto alle probabili finestre di uscita che imporrà la misura, che andrebbero a spostare le decorrenze delle pensioni con quota 100 di 3 mesi per i lavoratori privati e di 6 mesi per gli statali.

In parole povere, senza allarmismi, il rischio che la misura, pur studiata per una ingente platea di beneficiari, sia sfruttata da pochi, non appare esercizio azzardato e questo in termini di spesa pubblica non sarebbe un male.