Sui numeri che recentemente la Ragioneria Generale dello Stato ha pubblicato sulla spesa previdenziale e sanitaria italiana, è emerso che quota 100 è una misura che nel lungo termine graverà in maniera eccessiva sui conti dello Stato. Sarebbero 63 i miliardi di spesa previdenziale che lo Stato sopporterà fino al 2038. Su questi numeri però si è aperta subito una profonda discussione perché c'è chi li contesta duramente. L'Inps per esempio, a voce del suo Presidente Pasquale Tridico, ha dichiarato che nei numeri dei tecnici dello Stato, siano inserite oltre a quota 100, anche tutte le altre misure di uscita previdenziale vigenti.

In pratica, la spesa che la Ragioneria di Stato prevede fino al 2038, non riguarda quota 100.

Tra l'altro è evidente che già nel 2019, cioè nel primo anno di sperimentazione del canale di uscita a 62 anni di età con 38 di contributi, ciò che il precedente governo ha stanziato produce considerevoli risparmi. Il sito "Quifinanza.it" per esempio, parla di flop della misura con un drastico calo delle domande negli ultimi mesi che produrranno a fine anno 4 miliardi di risparmio rispetto alle dotazioni di quota 100 nell'ultima legge di Bilancio. In pratica, un falso allarmismo quello su quota 100 e questa tesi è avvalorata anche da un articolo di ieri del quotidiano "Il Sole 24 Ore". Il noto ed autorevole quotidiano economico-politico-finanziario con un articolo di approfondimento mette nero su bianco i risultati della spesa previdenziale di quest'anno e dimostra come le uscite alternative alla quota 100 stiano riscuotendo addirittura più successo e sono queste che incidono pesantemente sulla spesa previdenziale mettendo a rischio la sostenibilità del sistema pensionistico.

L'aspettativa di vita congelata e la corsa alle anticipate

Per il Sole 24 Ore ci sono altre misure che il governo che allora era guidato dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega, ha varato nel cosiddetto decretone, che riscuotono maggiore appeal rispetto a quota 100. I dati Inps, che devono però essere ancora ufficializzati dall'Istituto, ma su cui si basa l'articolo del quotidiano, mettono in luce che al 10 settembre scorso, su 341mila domande di pensionamento, 176mila riguardavano la quota 100, mentre 165mila provenivano da richiedenti misure previdenziali alternative.

Tra l'altro, il numero di domande di quota 100 è relativo alle istanze presentate, perché quelle effettivamente accolte sono state solo poco più di 110mila. Numeri piuttosto bassi per la misura che doveva essere un autentico boom in base alle stime del governo, che prevedeva inizialmente una platea di nuovi pensionati con quota 100 pari a circa 290mila.

Per questo, più che quota 100, la spia rossa in termini di spesa previdenziale che la Ragioneria Generale ha acceso riguarda anche e forse soprattutto le altre misure che lo stesso governo ha varato e che rappresentano canali di uscita in deroga alla legge Fornero. In primo luogo occorre ricordare che Lega e M5S hanno deciso di congelare la soglia contributiva per la pensione anticipata per il 2019 e fino a tutto il 2025. Le Pensioni anticipate, nate con la legge Fornero in sostituzione delle pensioni di anzianità, fino al 31 dicembre 2018 si centravano con 42 anni e 10 mesi di contributi in caso di richiedente uomo e con 41 anni e 10 mesi di contributi se il lavoratore era donna. La riforma Fornero aveva previsto un innalzamento di 5 mesi proprio dal 1° gennaio 2019 per le pensioni anticipate, in pratica ciò che è accaduto per l'età pensionabile per le pensioni di vecchiaia salite a 67 anni nel 2019.

Si tratta dell'aumento previsto dall'aspettativa di vita ed è proprio questo che l'esecutivo giallo-verde ha congelato. Nessun aumento in termini di requisiti è stato imposto alle pensioni anticipate, se si eccettua una finestra di 3 mesi come decorrenza. Questo ha prodotto un considerevole aumento delle domande di pensione anticipata che sempre al 10 settembre erano 124mila, con 55mila istanze accolte e 50mila giacenti. Probabilmente le vicissitudini politiche del governo e la paura che di colpo qualcosa possa cambiare ha spinto molti a correre a presentare domanda di pensione con questo canale di uscita. In effetti il Sole 24 Ore parla di impennata delle domande negli ultimi mesi, perchè fino a giugno 2019 risultavano presentate solo 81mila domande circa.

Opzione donna, Ape e quota 41

Già con quanto detto sopra è evidente che il problema di sostenibilità del sistema non sia solo ed esclusivamente causato da quota 100, come la Ragioneria di Stato sembra aver detto, avvalorando la tesi di chi vorrebbe mettere mano alla misura cambiandola o sostituendola. Inoltre ci sono le altre misure varate dal governo a gennaio, con il riavvio di opzione donna e con la proroga dell'Ape sociale. Le lavoratrici con 58 anni di età se dipendenti e 59 anni di età se autonome, nel 2019 hanno ottenuto il riavvio di opzione donna che consente loro di uscire con 35 anni di contributi. Si tratta della pensione anticipata contributiva per le donne, con un assegno calcolato solo con il penalizzante sistema contributivo e quindi nettamente tagliato per chi opta per lo scivolo.

Una misura questa che il governo che nel frattempo è diventato giallo-rosso (è entrato il Pd ed è uscita la Lega), il cosiddetto Conte bis, ha l'intenzione di confermare, essendo a basso impatto sui conti pubblici. Le penalizzazioni in termini di assegno pensionistico a cui vanno incontro le donne che scelgono questa via per lasciare il lavoro rendono opzione donna una misura che nel lungo periodo produce risparmi. Le domande di queste lavoratrici fino a settembre sono arrivate oltre 20mila. Anche l'Ape sociale e la quota 41 per i precoci sono misure che gravano sui conti pubblici. L'Ape sociale tra l'altro è una delle misure che il governo Conte bis pare intenzionato a rendere strutturale e ampliato come platea.

Si tratta della pensione con 63 anni di età e 30 o 36 di contributi, che è destinata a invalidi, caregivers, disoccupati e lavori gravosi. Al 10 settembre sono oltre 9.300 i cittadini che hanno scelto l'Ape sociale per uscire dal lavoro. Le stesse categorie di soggetti a cui è destinata l'Ape sociale rientrano nella quota 41. In questo caso però dei 41 anni di contributi richiesti senza limiti di età, almeno uno anche discontinuo, deve essere stato versato prima dei 19 anni di età. Ecco perché si parla di quota 41 per i precoci, misura che secondo i numeri del quotidiano, è stata richiesta da 11.500 persone.

La spesa pubblica

Appare evidente che quando si parla di pensioni anticipate e di scivoli rispetto ad esse, l'elevato numero di contributi previdenziali richiesti produce assegni di importi piuttosto elevati.

Per esempio, quota 100 che prevede la soglia minima di 38 anni di contributi, secondo i numeri Inps ha prodotto assegni medi da 2.000 euro lordi per gli uomini e da 1.800 euro lordi per le donne. Ancora maggiore la media degli assegni erogati con le pensioni anticipate a 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne 41 anni e 10 mesi). In questo caso gli uomini hanno ricevuto in media 2.230 euro mentre le donne 2.000. con opzione donna invece, assegni medi prossimi a 1.000 euro.