Ieri 10 febbraio sul tavolo della trattativa sulla riforma Pensioni è finita la flessibilità in uscita. Il cantiere riforma è ormai partito e il lavori dovrebbero portare i primi esiti tra due mesi circa. Ad aprile infatti, il governo dovrà presentare la bozza del Documento di economia e finanza. Si tratta dell'atto di governo in cui vengono fissate le linee di politica economica che andranno ad incidere nella legge di Bilancio di fine anno. Tradotto in termini pratici, nel Def si vedrà chiaramente cosa l'esecutivo ha in mente di destinare al capitolo previdenziale per il 2021.

La partita è ancora aperta, perché tra governo e sindacati le distanze sembrano ancora marcate, anche se ieri è sembrato che le posizioni si siano in qualche modo ammorbidite. Soprattutto dal governo è emersa l'apertura a rivedere il pacchetto di misure di flessibilità pensionistica, senza puntare dritto sul ricalcolo contributivo delle pensioni. Ed i sindacati sembrano disposti a rivedere la loro rigidità per quanto riguarda ipotetiche penalizzazioni di assegno da applicare alle nuove misure di pensione anticipata.

Questione di cassa sempre prioritaria

Il governo dal punto di vista previdenziale è costretto a muoversi su un campo minato. Da un lato la necessità di riformare il sistema superando la legge Fornero e risolvendo il nodo scalone di quota 100 al termine della sperimentazione della misura nel 2022.

Dall'altro invece, la necessità di non appesantire troppo la spesa pubblica. La prossima legge di Bilancio nascerà come sempre con la spada di Damocle delle clausole di salvaguardia che prevedono l'aumento dell'Iva. Tra l'altro da ambienti internazionali i suggerimenti per il nostro Paese sono sempre gli stessi, cioè ridurre la spesa pubblica, soprattutto quella previdenziale.

Per questo il governo da tempo pensa ad una riforma previdenziale che parta dal ricalcolo contributivo delle pensioni. Una soluzione che consentirebbe allo Stato di risparmiare molti soldi erogando pensioni più basse ai pensionati che si deciderà di mandare prima in quiescenza. Ma si tratta di risparmi nel medio lungo periodo, perché consentire pensionamenti a 64 anni, produce inevitabilmente un aumento di spesa per l'Inps, per via del maggior numero di pensionati che nasceranno.

Inoltre, il ricalcolo contributivo è aspramente osteggiato dai sindacati. Appare chiaro però che se nuove misure flessibili devono nascere, non possono in nessun caso non prevedere tagli di assegno per i futuri pensionati.

La via del taglio lineare sembra fattibile

Una delle novità del summit, che comunque non ha prodotto nessun approfondimento sulle misure da adottare, è l'apertura dei sindacati a parlare di penalizzazioni di assegno. Al posto del contributivo, troppo penalizzante per i pensionati, l'esecutivo sta pensando al taglio lineare. Una penalizzazione fissa per anno di anticipo ottenuto rispetto ai 67 anni della pensione di vecchiaia. Uscire prima dal lavoro produrrebbe un taglio di assegno tanti più elevato quanto prima si riesce ad andare in pensione.

Si ragiona nell'ordine di un taglio del 2% per anno, con la penalizzazione massima sui 3 anni di anticipo possibili (dai 64 ai 67), che sarebbe d 6%. Un taglio questo che sarebbe meno pesante rispetto al ricalcolo contributivo (per la Cgil si perde fino al 30% di pensione). Una soluzione che potrebbe rappresentare il giusto punto di incontro per avvicinare le parti, che come dicevamo, partono da posizioni piuttosto distanti.