La Rivoluzione industriale voleva cambiare il mondo, ma quale mondo? La società anglosassone sviluppatasi in tempi e modi diversi, sin dalla scoperta dell'America o la vecchia Europa che veniva dalla Rivoluzione Francese e dal congresso di Vienna del 181? Probabilmente niente di tutto questo.

La Rivoluzione industriale, attraverso delle scoperte straordinarie, voleva cambiare il substrato sociale delle nazioni in cui si era sviluppata. Ma migliorò davvero le condizioni di vita di milioni di persone? La risposta più semplice ed immediata è si.

Con la rivoluzione industriale infatti aumentarono le disponibilità di risorse che portarono a notevoli progressi  nel campo igienico sanitario, l'estinzione di malattia quali colera e peste, la riduzione delle carestie contribuirono ad un incremento esponenziale della popolazione ma anche a forme sempre più distorte di consumismo che ci hanno portato alla situazione attuale.

Vivendo in un pianeta finito con risorse limitate non possiamo, come molti governanti ed economisti vorrebbero, avere uno sviluppo continuo e illimitato del PIL. Stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità. Una parte del pianeta, il G7 (31.716.903 milioni di dollari - dati 2010 della CIA) produce la metà del PIL mondiale (62.911.253 milioni di dollari) a discapito dell'altra, lasciando larghe fasce di popolazione, in particolare dell'Africa subsahariana, dell'India e dell'America latina in condizioni di estrema indigenza.

Questa asimmetria fra nord del pianeta e sud, con tutte le sue disuguaglianze sociali e culturali che ne seguono, dipendono sostanzialmente da uno scambio ineguale fra materie prime e manodopera (abbondante nei paesi poveri) a bassissimo costo con prodotti finiti ad un prezzo elevato, oltre naturalmente allo sfruttamento delle risorse, delle popolazioni e dell'ambiente dei paesi del Terzo Mondo.

Ma con la comparsa sulla scena mondiale di altri attori considerati inizialmente facenti parte dei paesi in via di sviluppo quali Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa (BRICS),si è brutalmente modificato lo scenario internazionale. Con quasi 3 miliardi di persone  i paesi del BRICS hanno modificato i rapporti di forza economici mettendosi in contrapposizione agli Stati Uniti, all'Unione Europea e al Giappone, ma soprattutto questa sterminata massa di individui sta' cercando di elevarsi economicamente migliorando le proprie condizioni di vita.

Purtroppo, però, si sta seguendo l'esempio sbagliato. Invece di rincorrere un modello tradizionale rispettoso delle culture millenarie dei singoli paesi, si copia maldestramente il più bieco consumismo occidentale.

In questo scontro fra giganti il "vaso di terracotta" rimangono i paesi poveri. Per intenderci quelle nazioni i cui cittadini vivono con meno di 1 o 2 dollari al giorno (1.400.000.000 individui). Tutto questo dimostra il fallimento di un modello di governance mondiale che ha saputo creare solamente squilibri e sofferenze che hanno portato molto spesso a guerre, distruzioni e scontri sociali molto pericolosi.

Ma allora quale può essere l'alternativa reale e soprattutto praticabile per cambiare l'inerzia di questo pianeta?

Esiste un calcolo molto semplice, ma anche estremamente immediato. Se prendessimo in considerazione, non le singole aree geografiche, ma la Terra come unica entità, avremmo un prodotto pro capite annuale, cioè il rapporto fra PIL mondiale e i suoi abitanti (62.911.253.000.000 dollari/7.200.000.000 abitanti) di dollari 8.737.67 per donna, vecchio, bambino o adulto che sia.

Al di la dell'utopia dell'abbattimento di tutte le frontiere che comporterebbe un adattamento sociale agli usi e costumi delle singole nazioni, cosa oggi del tutto improponibile, con 8.737.67 dollari pro capite all'anno potremmo consentire a tutti l'accesso al cibo, all'acqua, all'istruzione, alle tecnologie. Potremmo abbattere l'inquinamento con l'utilizzo di forme di energia pulita e rinnovabile, tutto questo ridistribuendo diversamente le ricchezze del pianeta.

8.737.67 dollari pro capite all'anno è evidentemente una provocazione che 250 anni di storia dell'economia non potrà digerire e cercherà, pertanto, di distruggere, ma i numeri e soprattutto il buon senso dovrebbero trasformare questo sogno in realtà.