Nella puntata di Ballarò del 28/01/2014 il Ministro per la pubblica amministrazione ha sostenuto la necessità di ridurre la spesa pubblica.
Ha parlato di numero eccessivo di società partecipate da enti pubblici, di necessità di rimodulare la spesa del settore, pur considerando che, negli ultimi anni, i dipendenti pubblici si sono ridotti di 500.000 unità. A tale riduzione degli organici, però, – ha aggiunto – non è seguito un aumento della produttività.
L'esigenza del contenimento della spesa pubblica è senz'altro condivisibile, ma appare sempre più evidente che se ad esso non viene affiancato un adeguato sistema di controllo e di limite di altre variabili, l'operazione rischia di risultare monca.
Quali potrebbero essere, allora, le variabili ridimensionabili nella Pubblica Amministrazione?
1) un tetto agli stipendi dei manager pubblici è stato previsto dall'attuale governo (anche se non retroattivamente per le cariche già in essere), ma quanto ipotizzato (300.000 € annuali!) appare ancora sproporzionato rispetto alla retribuzione media della stragrande maggioranza dei lavoratori pubblici.
A questo proposito, è grottesco che il commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, deputato a richiedere sacrifici per il risanamento della Pubblica Amministrazione, per il suo lavoro nei prossimi 4 anni, riceverà la modica cifra di 950.000 € !
Il recente esempio del presidente dell'Inps che riveste non pochi incarichi, pubblici e privati, richiama poi l'indifferibile necessità di porre un limite al numero delle cariche che una sola persona può avere.
Una ridotta concentrazione di poteri in un'unica persona, infatti, favorirebbe un minor sperpero di denaro pubblico in operazioni poco chiare. Purtroppo, si sa, in Italia, il sistema manageriale strutturato secondo la logica delle scatole cinesi è piuttosto consolidato.
2) Ulteriormente fastidioso risulta poi sentire in tv lezioni di riduzione della spesa pubblica da chi guadagna fior di quattrini per parlarne.
Perché non mettere mano ai contratti di giornalisti, conduttori, personalità varie che con i loro stipendi contribuiscono al dissanguamento delle casse pubbliche. Risulta, infatti, piuttosto frustrante continuare a pagare il canone per un servizio radiotelevisivo pubblico in cui le retribuzioni di molti addetti ai lavori, spesso paladini dell'equità, appaiono vergognosamente sproporzionate.
3) Non meno importante, infine, appare la necessità di affinare i sistemi di controllo sull'impiego del denaro pubblico e sull'applicazione delle norme di tutela dei lavoratori pubblici, non poche volte abusate dai beneficiari.
Nel primo caso si pensi alla miriade di progetti finanziati in svariati enti pubblici che hanno ottenuto risultati discutibili e di scarso impatto sociale.
Nel secondo caso si pensi a forme di tutela o di aggiornamento professionale nella Pubblica Amministrazione quali la mutua, la legge 104/92 (per invalidità o per l'assistenza a familiari invalidi), i permessi retribuiti, la formazione. Conquiste sacrosante, ma spesso abusate e soggette a scarsi controlli, proprio per mancanza di risorse.
Ampliare i meccanismi di controllo ed il numero dei controllori (con buona pace delle organizzazioni sindacali che dovrebbero iniziare ad ammettere che esistono abusi dei diritti acquisiti nel settore pubblico) consentirebbe di stanare gli approfittatori, di aumentare la motivazione e la premialità degli onesti, con un impiego più appropriato delle risorse ed un conseguente mutamento di immagine della Pubblica Amministrazione.
Basta, dunque, alla demagogia dei tagli lineari e largo ad un ridimensionamento mirato della Pubblica Amministrazione, passando anche per la riduzione dei privilegi.