Le immagini televisive dei migranti di questi giorni di Roma, Milano e Ventimiglia suscitano contrastanti emozioni. Da una parte, coloro che non vogliono gli invasori; le nazioni confinanti con l'Italia che, in nome di trattati nebulosi e variamente interpretabili, alzano barriere. Dall'altra, un'improvvisata solidarietà, fondata su un dovere di accoglienza che, alla lunga, si rivela traballante, opinabile. In mezzo, la cosiddetta intellighenzia di giornalisti, politici, esponenti di chiesa che si sperticano in commenti, sempre e solo teorici, pro o contro.

L'emotività la fa da padrona, mentre mancano totalmente memoria storica e concretezza.

Per non stupirci di ciò che sta accadendo, sarebbe sufficiente ricordare che l'ottanta per cento delle risorse è gestito dal venti per cento degli abitanti del nostro pianeta; che le politiche che hanno alimentato guerre e regimi dittatoriali hanno sfruttato e rubato risorse destinate allo sviluppo delle popolazioni del sud del mondo, producendo inevitabilmente sentimenti di odio (si pensi al terrorismo internazionale), oltre che illusorie corse alle terre dell'oro. Quanto all'Italia ed alla sua politica estera, sarebbe sufficiente ricordare, in epoca recente, le burlesche corna di un nostro premier nei summit internazionali o le espressioni di altri capi di stato in merito a certi italici governanti; basterebbe citare il fiume di denaro italico che, negli anni, anziché confluire nella cooperazione internazionale, è rimasto nelle tasche dei politici o è stato impiegato per ben altri fini (traffici d'armi e di rifiuti).

Tutto ciò non giustifica il bieco rifiuto degli stati europei ad accogliere, ma aiuta a comprendere quanto l'Italia, in una condizione di già precaria credibilità economica e con una corruzione tra le più alte al mondo, abbia perso appeal nel contesto internazionale. Oggi più che mai, dunque, occorre ripensare il modello di accoglienza.

Invitare ad accogliere senza organizzazione, metodo e consapevolezza delle proprie capacità ricettive (economiche, strutturali ed emozionali) in un Paese già provato dalla crisi economica appare ipocrita, irrazionale. Accogliere persone per lasciarle sui cartoni, alla sola gestione del volontariato o in condizioni e strutture fatiscenti non ha senso, proprio per ciò che spesso viene sottolineato da chi, in buona fede, opera e si adopera: il rispetto e la dignità di chi arriva.

Più che mai, allora, occorre una seria politica estera che provi a costruire dialogo e strutture di selezione negli stati di partenza; si finanzino opere in tal senso e si controlli che il denaro vada a buon fine. Si impieghino i militari per opere mirate di intelligence e di perseguimento di coloro che organizzano le traversate criminali. Si estirpino doppia politica e morale per le quali, con la mano destra, si elargiscono denaro e armi a governi e fazioni più o meno corrotte e amiche e, con la mano sinistra, si innalzano barriere. Si riducano spontaneismo ed emotività in nome di una intellettual-religiosa solidarietà o di uno spudorato calcolo politico e si implementino razionalità ed operatività sostenibile, accelerando le pratiche di riconoscimento di chi arriva (con finanziamenti e personale a doc) ed assumendosi la responsabilità di rifiutare laddove non si è in grado di "ospitare". Da sempre l'onnipotenza ha contraddistinto l'uomo stupido, mentre umiltà e capacità di utilizzare razionalmente le risorse ne hanno valorizzato l'intelligenza. Sta a noi agire di conseguenza.