Alcune notizie seguite alla scomunica di Papa Francesco ai mafiosi ed il caso di Oppido Mamertina, paese calabrese in cui, durante una processione, è stata fatta inchinare la statua della Madonna davanti la casa di un boss mafioso, confermano che la lotta alle mafie deve essere combattuta soprattutto a livello culturale.
Perché trovi sempre qualcuno che esprime critiche e dubbi. Il parroco di Oppido Mamertina ha dichiarato: "Non capisco la DDA (Direzione Distrettuale Antimafia)". "Così si criminalizza" (Il fatto quotidiano, 14/7/2014).
Il grande Giovanni Falcone scriveva: "La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine…".
La sede centrale dell'"Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata" è a Reggio Calabria.
Il sito istituzionale dell'Agenzia fornisce interessanti dati sui beni confiscati alla criminalità organizzata.
La situazione al 7 gennaio 2013 ci dice che sono stati sequestrati 12944 beni, di cui 1707 aziende e 11237 immobili.
Nel 2012, il maggior numero di aziende sono state sequestrate in Sicilia (538), in Campania (252), in Calabria (105) ed in Lombardia (102).
Immaginiamo che queste aziende sequestrate avessero dei dipendenti che vivono in Sicilia, in Campania, in Calabria ed in Lombardia; con relativi fornitori e clienti.
Se, a seguito di questo intervento dello Stato sull'azienda, i dipendenti si troveranno disoccupati, come la penseranno? Stavamo meglio quando stavamo peggio? Analoga riflessione se l'azienda sequestrata viene liquidata o fallisce. Come la penseranno i fornitori se non recupereranno i loro crediti?
Il tutto per dire che lo Stato può combattere le mafie anche in base ai risultati dei propri interventi.
La relazione 2012 dell'Agenzia nazionale contiene un dato che sorprende.
Sembrerebbe che, a seguito del sequestro, le banche revochino i fidi (pagina 12, "tre grandi criticità"). Cosa significa? Se non c'è sequestro, l'azienda mafiosa che, ad esempio, ha un fido di cassa di 50 mila euro, può pagare dipendenti e fornitori anche se sul conto corrente ha zero centesimi.
Nel momento in cui l'azienda viene sequestrata dallo Stato, le banche chiudono i fidi e vogliono la restituzione immediata dei 50.000 euro.
Arriva lo Stato e le banche tolgono i fidi. Una contraddizione.
Quasi inevitabile il fallimento dell'azienda; dipendenti che avevano un posto di lavoro che restano disoccupati; fornitori che non incasseranno i loro crediti; clienti che dovranno rivolgersi alla concorrenza.
Dovrebbero esistere regole speciali per una guerra speciale: l'azienda sequestrata deve continuare la propria attività, come prima, anzi meglio di prima. I dipendenti dell'azienda sequestrata, che erano "in nero", devono essere regolarizzati; i fornitori devono incassare tutto e presto; le banche non dovrebbero poter revocare i fidi perché se l'azienda era mafiosa e si fidavano, l'arrivo dello Stato nella gestione aziendale non dovrebbe farle preoccupare.
Anzi.
Soltanto con questi risultati la mafia non verrà più percepita da parte delle comunità locali come un datore di lavoro ingiustamente espropriato, quello che li "manteneva" tutti.
P.S. Domani, 19 luglio, è l'anniversario della strage di via D'Amelio dove, nel 1992, morirono Paolo Borsellino, il capo scorta Agostino Catalano e gli agenti Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Riconoscenti rendiamo onore alla loro memoria.