Si parla molto, in questi giorni, di art. 18 e tanti, con competenza o con incompetenza, dicono cose interessanti e anche utili, ma nessuno si azzarda a dire la verità, anche se è un imprenditore o un rappresentante della categoria. Eppure la verità è molto semplice e basta farsi questa semplice domanda per capire: chi comanda in azienda? Si è sentito dire, dai sindacalisti più arcaici, che l'art.18 è irrinunciabile perché è un fatto di dignità dei lavoratori. È stato detto da qualcuno, basandosi su numeri che non significano molto, che l'art.18 non è un problema perché riguarda poche migliaia di lavoratori.

Mentre altri, basandosi su indagini astratte, hanno annunciato con sicurezza che l'art.18 non poteva essere responsabile del nanismo delle aziende italiane, giacché gli addensamenti di aziende non si collocavano vicino al numero di 15 dipendenti - soglia di applicazione dello statuto dei lavoratori - ma molto al di sotto.

Tuttavia non è stato adeguatamente richiamato il fatto che qualunque norma astratta deve essere interpretata e applicata al caso concreto e che proprio questa applicazione incide sulla realtà economica e sociale, così come ha inciso pesantemente, in tutti questi anni, la giurisprudenza sull'art.18, dando ai lavoratori un'idea di quasi impunità e quasi convincendo i datori di lavoro di avere commesso un peccato, per così dire, originale.

E, soprattutto, non è stato detto che quello che si voleva ottenere con lo statuto dei lavoratori e l'art.18, anche in una ottica ideologica comprensibile per l'epoca (1970), era un riequilibrio di potere tra lavoratori e datori di lavoro all'interno dell'azienda. Così, invece, abbiamo vissuto e continuiamo a vivere uno squilibrio.

Il vero problema è che, con l'art.18 e altri articoli dello statuto, nell'imperio di una cultura dei diritti a senso unico, con l'avallo di un sindacato legato alla formula che il lavoratore ha sempre ragione, specialmente quando ha torto, i lavoratori si sono spesso sentiti autorizzati a non seguire o a contestare le direttive dei datori di lavoro.

Mentre gli imprenditori, piccoli e piccolissimi, che si vedevano spesso accusare di tante colpe, vere o soltanto immaginarie, e continuavano ad essere penalizzati da una serie infinita di normative farraginose, da una burocrazia non amica, da un fisco rapace, cercavano di evadere in tutti i modi dalle gabbie in cui si sentivano rinchiusi e non riuscivano a gestire le loro imprese al meglio.

Perciò, a parte tutto il resto, l'art.18 non è che un simbolo del passato, un tabù che va rimosso per ridare agli imprenditori il senso della libertà nell'assunzione dei loro rischi e ai lavoratori il senso della responsabilità nell'assunzione dei loro impegni.

I tempi sono cambiati, i lavoratori e gli imprenditori sono cresciuti, oggi sarebbe bene dar loro modo di avviare, insieme, nel rispetto reciproco, una nuova stagione del lavoro, senza equilibri o squilibri prestabiliti.