Circa 10 anni fa, in seguito a un lavoro di ricerca svolto a Sarajevo, la città "Gerusalemme dei Balcani", ho deciso di mettere a frutto in Italia le riflessioni emerse dallo studio di quel contesto. Sebbene le situazioni di partenza siano per alcuni aspetti assai diverse, credo che nessuna società possa sentirsi esclusa da conflitti che si alimentano di frustrazioni, senso di esclusione, difficoltà concrete, indifferenza politica, istigazione al conflitto. (Sarajevo, le città degli abitanti, in Città e memoria, Bruno Mondadori)

Anche i cittadini di Sarajevo restarono increduli quando una parte di loro salì sulle colline per mettere sotto assedio la città.

Dal momento che in questo Paese gli unici laboratori permanenti di cittadinanza attiva sono le aule scolastiche, la mia ricerca-azione si svolge in questi luoghi. I temi al centro delle attività che ho elaborato nel corso degli anni, in estrema sintesi, sono le interazioni fra contesto abitativo, dinamiche relazionali nei sistemi complessi, processi di costruzione identitaria, sia individuali che collettivi e qualità della vita.

Ormai da anni si parla di società interculturale, e quindi di pedagogia della complessità e della diversità, ma gli interventi nella prassi quotidiana si risolvono spesso in progetti isolati e di superficie. I fatti di questi giorni, inoltre, testimoniano scelte miopi le cui conseguenze sono scontate.

In un Paese dove i problemi esistono solo quando assumono toni eclatanti, per poi tornare nel dimenticatoio, si parla molto e non si fa nulla, o quasi.

Viviamo in una società-mondo che non possiamo ignorare, discutiamo di meritocrazia, della necessità di cambiare la coscienza del Paese, dell'importanza della Scuola per formare cittadini consapevoli e creativi, capaci di risollevare le sorti di questo Paese, ma chi ricopre ruoli di potere e potrebbe fare la differenza, a tutti i livelli, resta imperturbabile ad assistere al Titanic che affonda.

La mia esperienza concreta è nelle scuole e all'Università, dove ho collaborato in alcuni corsi.

La mia sensazione è che i docenti, lasciati nel più totale abbandono, siano gli unici soggetti delegati dalla nostra società ad affrontare sul campo, senza strumenti adeguati, situazioni che per la loro complessità e delicatezza avrebbero bisogno di essere al centro dell'attenzione di tutti.

Nel 2012 ho pubblicato un libro (La scuola delle opportunità, Morlacchi editore) che voleva essere uno strumento di aiuto per i docenti; il testo è stato adottato nei corsi di cui ero cultrice della materia ed ha riscosso commenti molto favorevoli, fra cui uno la dice lunga. "Dopo 4 anni di università, finalmente il primo libro in cui si parla di temi attuali e in modo adeguato". Confortata dai riscontri avuti sul campo, sollecitata dai docenti con cui ho collaborato, ho proposto i miei progetti a dirigenti scolastici, dirigenti degli uffici scolastici regionali, assessori comunali e provinciali. Secondo voi ho ricevuto qualche risposta? È vero, mancano i soldi. Ma non è tutto. La mia impressione è che manchi, da parte di chi dovrebbe individuare le strategie, la capacità di ragionare in termini di complessità.

Non sono forse i momenti di crisi quelli in cui le strategie sono ancora più importanti, per massimizzare le poche risorse a disposizione? E allora cosa c'entra un architetto con i progetti di intercultura? In che modo attività che ruotano intorno ai luoghi, al concetto dell'abitare e a quello di complessità possono migliorare le dinamiche del gruppo, aumentare l'autostima degli studenti e motivarli ad esprimersi al meglio delle loro potenzialità? E infine la domanda emblematica. Chi manda questa Cipollini? Non so se le notizie di questi giorni abbiano illuminato qualcuno.