Era il processo della libertà di opinionecontro la censura, e ha vinto la prima. Il pm Antonio Rinaudo aveva chiesto 8 mesi di reclusione per l'imputato Erri De Luca con l'accusa di istigazione a delinquere, in seguito ad un'intervista rilasciata all'Huffington Post nel settembre del 2013 nella quale lo scrittore napoletano esprimeva la necessità di sabotare il progetto Tav. Richieste del pm andatesi evidentemente a scontrare con l'articolo 21della Costituzione Italiana che sancisce la sacralità della parola in quanto "tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione",tanto più che non è stato possibile collegare alcun sabotaggio da parte di esponenti No Tav in relazione all'auspicio di De Luca.

La società francese è insorta, i giudici hanno difeso la libertà di parola. E gli intellettuali italiani?

In una società, quella italiana, formata per la maggior parte da censori preoccupati e personaggi che confondono la libertà di espressione con l'insulto, non stupisce constatare la creazione di un'iniziativa a favore di Erri De Luca a tal punto alimentata da arrivare fino al Presidente della Repubblica: François Hollande. Sì, perché la mobilitazione è partita dall'iniziativa 'Soutien à Erri De Luca'- al giorno del verdetto a quota 6530 firme per lo scrittore italiano più letto in Francia - appoggiata in primo piano da ministri transalpini ed esponenti del mondo della cultura come Muriel Barbery, l'attuale presidente Antoine Gallimard dell'importantissima casa editrice omonima, Fred Vargas; fino agli ultimi eccellentifirmatari che hanno chiesto a gran voce il ritiro della denuncia: Wim Wenders, Ken Loach, Marc Levy, Paul Auster e Salman Rushdie.

E gli italiani ad aver firmato? Dei 65 totali sono solo 15 di cui la regista Comencini, Marco Risi, Claudio Amendola, Alessandro Gassman e Valerio Mastandrea. Il numero degli scrittori, eccezion fatta per la testimonianza di Roberto Saviano, è 0.

Francia e Italia: due visioni differenti

La patria di Rabelais e dello 'Charlie Hebdo', fa della libertà d'espressione l'elemento fondamentale della comunità.

Storie di rivoluzioni fallite e riprovate, tiranni con la testa nella terra ed un inno che plaude la sovversione del potere con il sangue è ben altra cosa rispetto alle nostre rivisitazioni quotidiane della 'più bella Costituzione d'Europa' e tentativi di scherno nei riguardi dell'Italia unita e della bandiera, salvo appellarvisi in ultimi spiaggia per giustificare il razzismo elettorale.

Questa la cornice perfetta per un quadro da costa a costa pennellato di ipocrisie, disinteresse e snobismo. Il mestiere di disallineato non paga in un Paese dominato dallo sminuimento trentennale della cultura e timorato di dissacranti provocazioni. Resta niente di Pasolini senza vita a Ostia, di Enzo Biagi infamato, di Ennio Flaiano contro tutti. Quando ai funerali di Tignous, il Ministro della Giustizia francese Christiane Taubira disse che "noi possiamo disegnare ogni cosa, perfino un profeta perché in Francia, paese di Voltaire e dell'irriverenza, abbiamo il diritto di prenderci gioco di qualsiasi religione", solo un giornale italiano ebbe il coraggio di andare in stampa con l'allegato di 'Charlie'. Perché in Italia, parafrasando Brassens, moriamo per delle idee, ma di morte lenta.