Dopo l’attentato di Parigi, Crozza ha chiesto: “Quanto deve essere vicina una barbarie perché ci colpisca come esseri umani? Piangiamo solo le città di cui abbiamo un souvenir attaccato sul frigo?”. Come dopo l’undici settembre è cambiato il nostro modo di volare, così anche il Bataclan ha lasciato un segno indelebile per l’Europa. Se prima delle Torri Gemelle, infatti, prendendo un aereo si aveva paura di guasti tecnici, dal 2001 si guarda con sospetto il passeggero accanto a noi. Matthew, sopravvissuto per puro caso ad entrambi gli attentati, ha dichiarato a Le Monde«quello che ho vissuto al Bataclan è stato mille volte peggio».
Parigi ci ha colpito nel profondo perché abbiamo capito che non siamo più al sicuro da nessuna parte. A Bruxelles o a Strasburgo come a Milano o a Roma, in una discoteca o in un ospedale. Non c’è umanità in questo nemico senza volto.
Situazione a Parigi
«Lo abbiamo sentito parecchio, più di qualsiasi altra cosa perché ci hanno attaccatodove siamo più liberi, dove siamo noi stessi, dove amiamo divertirci…» queste sono le parole di Roxana, una settimana dopo . «L'ansia e la tristezza decidevano ogni movimento o decisione. Ho evitato le zone dove solitamente c'è più gente, perché qualcosa nel mio subconscio mi diceva di non farlo», prosegue. La paura paralizza, toglie ogni libertà, ci costringe a prendere scelte diverse e magari ad auto censurare i propri pensieri.
Nicolò, studente alla Sorbona, racconta: «La mia vita è cambiata così come quella di tutti i parigini, ma stiamo lentamente ritornando alla normalità perché è fondamentale farlo, è una sfida importante. Dall'oggi al domani, ci si è sentiti imprigionati nella città più libera del mondo.
Parigi, che ha sempre permesso a chiunque di essere ciò che si vuole, all'improvviso è diventata fonte di ansie.
Tante cose sono cambiate: ora, quando cammini per strada, pensi sempre in quale angolo potresti nasconderti. In qualsiasi luogo tu sia ti capita di immaginare che potrebbe succedere un terribile attacco da un momento all'altro. Soprattutto nei café dove la gente ora cerca posti all'interno, meno fuori. Questa è la cosiddetta strategia della tensione, una paura collettiva, sotterranea, che non puoi eliminare e che può portare ad una repressione delle emozioni, una rabbia interiorizzata.
Quello che è importante è allora liberarsi di questa paura, non eliminandola del tutto, ma attraversandola con la consapevolezza che c'è un rischio che ovviamente non possiamo controllare».
E in Italia?
Anche in Italia, però, si scrutano con occhi nuovi i passeggeri che salgono sulla metro, si guarda con preoccupazione un musulmano in preghiera e si rivendono biglietti dei concerti. Allarmi bomba, segnalazioni, controlli e una sottile angoscia fanno parte della routine di tutti i giorni. Gianluca, trasferitosi lì per lavoro, dice «La sensazione è quella di vivere in una città militarizzata. Molte sono le pattuglie di soldati che controllano le strade come anche la sicurezza all’interno dei centri commerciali.
Ieri pomeriggio all’entrata di uno di questi siamo stati perquisiti aprendo borse e giacconi. Ogni persona che entrava veniva controllata, nessuno poteva sottrarsi. Ti fa capire che non vivi più in una città sicura, avendo sempre addosso una continua sensazione di allerta. Ad ogni sirena della polizia, ti volti e cerchi di capire cosa sta succedendo intorno a te. Parigi è stata ferita, ma sta a noi rimarginare queste ferite senza cambiare il nostro stile di vita. Parigi è una delle città più belle al mondo anche per la sua multiculturalità. Come io individuo non ho intenzione di cambiare le mie abitudini anche Parigi non dovrebbe». Dobbiamo rispondere al terrore continuando a vivere come abbiamo sempre fatto, essere coscienti del pericolo, ma non per questo lasciarsi vincere. Proprio come fa Federico: «Ieri sono andato al cinema ed era pienissimo. La vita continua».