Pochi giorni fa, a Rosarno, in Calabria, nella Piana di Gioia Tauro, c’è stata una rissa tra alcuni braccianti africani che vivono e lavorano lì in condizioni disumane. Un carabiniere nel tentativo di separare due persone è stato ferito al volto e per legittima difesa ha tirato fuori la pistola e ha ucciso Sekine Traore, 27 anni, del Mali.
La tendopoli di San Ferdinando, che accoglie nel periodo della raccolta delle arance più di milleextracomunitari, è soltanto uno dei numerosi accampamenti in cui vivono in condizioni bestiali migliaia di immigrati, sfruttati come animali da soma, pagati 2 euro l’ora per un lavoro massacrante.
Dietro questa tragedia umana, che si consuma sotto gli occhi impotenti del Governo Renzi e dell’UE, ci sono le mafie, la criminalità organizzata gestita da marocchini o gruppi dell’Est. In alcuni casi, accampamenti simili a quello di Rosarno sono stati fatti sgombrare: a Foggia, nel mese di marzo le forze dell’ordine hanno messo sotto sequestro il ‘Grande Ghetto’ di Rignano, in cui vivevano centinaia di immigrati.
In Calabria la situazione non è molto diversa. Proprio nella Piana di Gioia Tauro ci sono territori inaccessibili, dove regna la legge della ‘ndrangheta. Alcuni approdi sono sotto il suo controllo. Nessuno sa, in realtà, quanta merce illegale (cocaina, armi, esseri umani) vi circoli.
Ma cosa c’entra tutto ciò con il Jobs Act?
La grande distribuzione organizzata gestisce il mercato imponendo la legge dell’oligopolio. Un sistema che va contro gli interessi dei lavoratori e arricchisce le multinazionali. Alessandro Vergili, gestore di una paninoteca romana, dichiara in un’intervista rilasciata a Reuters, che “il Jobs Act favorisce questo meccanismo e in realtà non sta aiutando gli italiani perché ciò di cui gli italiani hanno bisogno sono meno tasse e meno bollette”.
La disoccupazione giovanile è di oltre il 44% nel 2015. Nel frattempo, nelle campagne scarseggia la mano d’opera e ci si può approfittare della domanda sempre più forte degli immigrati in cerca di lavoro, riducendoli a schiavi. È questo il profilo di un Paese civile? È per questo che i nostri avi hanno combattuto e hanno costruito le case in cui poltriamo in attesa di impieghi che il Job Acts dovrebbe tirare fuori dal cappello magico del Governo Renzi?
Julien Coupat ha dichiarato a Mediapart: “La riforma sul lavoro è stata la scintilla che aspettavamo per scendere in trincea”. Coupat è stato di recente accusato dal ministro Valls di sostenere le proteste violente contro la legge ElKhomri, una riforma molto simile al Jobs Act, ma che, a differenza dell’Italia, ha provocato già tre mesi di mobilitazione nazionale.
In Francia sono stati decapitati re e regine, è nato un Paese sulle macerie di una rivoluzione sanguinosa. Uno sciopero come quello a cui stiamo assistendo oggi, in Italia, non è stato neanche preso in considerazione contro il Job Acts. C'è stata invece una piccola protesta durata 8 ore dopo una lunga trattativa con i sindacati.
Reazione francese e reazione italiana
La sintesi di ciò che in italiano si definisce “mitezza” (parola intraducibile in francese) e il “grandeur” francese (parola intraducibile in italiano) è tutta in quella tragedia sociale e umana che si consuma sotto i nostri occhi, nelle campagne ma anche negli uffici e nei supermercati, dove, tanto per fare un esempio, molti ricevono stipendi part-time, ma lavorano a tempo pieno, o, peggio, restituiscono metà dello stipendio al datore di lavoro.
Di esempi del genere, ce ne sono a centinaia, si potrebbe dare libero spazio alla fantasia, con l’ingenua illusione che ci si stia allontanando dalla realtà dei fatti, e invece scoprire che la realtà è anche peggio.
Quello che possiamo fare, se non siamo capaci di bloccare un intero Paese in cambio del rispetto dei nostri diritti, è almeno parlarne nei giornali indipendenti. E vedere in maniera critica ciò che ci succede intorno la prossima volta che mangiamo un’arancia o apriamo un barattolo di pomodori.