Non è piaciuto alla critica, questo terzo capitolo della saga del professore di simbologia più famoso dei romanzi thriller. Uscito già in molti Paesi ma atteso negli USA solo il 28 ottobre, finora #Inferno di Ron Howard non ha neanche pareggiato il budget di 75 milioni di dollari.

L’unica certezza confermata, in questo adattamento dell’ultimo libro di Dan Brown, è la bellezza mozzafiato dei siti artistici che racchiudono gli enigmi da svelare, per salvare il mondo. E se un momento di commozione si riesce a strappare allo spettatore, tutto il merito va accordato al Vasari e al suo splendido Affresco della Battaglia di Anghiari.

Un esordio visionario e apocalittico

L’inizio si apre in un susseguirsi sfocato e confuso di immagini drammatiche che si sovrappongono ai catastrofici discorsi del magnate Zobrist sulla fine del mondo. #Robert Langdon si risveglia in un ospedale di Firenze in preda a un’amnesia temporanea, mentre tutto ciò che lo circonda si trasforma, nella sua mente allucinata, nella versione contemporanea dei supplizi infernali raccontati da Dante.

Malati di scabbia, passanti con le teste rivoltate all’indietro, fiumi di sangue, una misteriosa donna velata sono i pezzi incongruenti di indizi che Langdon deve ricostruire insieme alla sua memoria mancante. Un enigma dietro l’altro, mentre Robert fugge con l’aiuto della dottoressa Sienna Brooks, più che un thriller Ron Howard ci presenta un film dai tratti profondamente apocalittici.

L’azione si snoda in un crescendo continuo di tensione che ben si intreccia con le opere d’arte che, come sempre nelle avventure del professor Langdon, racchiudono i misteri che porteranno alla soluzione finale. Proprio quando il più grosso colpo di scena fa trattenere il respiro al pubblico in sala, però, le cose iniziano a precipitare.

E poi una lenta discesa verso l'Inferno

Chi ha letto il libro può ben immaginare quale sia il problema: la più che pessima caratterizzazione della co-protagonista, che pure un background interessante aveva. Il film di #Ron Howard non solo ribalta un finale abbastanza inaspettato, portando la sceneggiatura sui binari di una spy story a-la James Bond con tanto di scazzottata, ma riesce a peggiorare la situazione.

La Sienna Brooks di Felicity Jones è inespressiva, piatta e senza sostanza e a una caratterizzazione ridicola aggiunge la totale assenza di quelle vicende personali che pure nel libro la rendevano a tratti quasi interessante. Le sue motivazioni si rivelano ancora più piatte e tutto il focus del film si sposta all’improvviso su una liason amorosa che non ha ragione di esistere e ingolfa una seconda parte drammaticamente spenta e fuori posto.

È un finale telefonato quello che ci si ritrova davanti e nemmeno un Tom Hanks imbolsito e stanco riesce a salvare le sorti di un film catastrofico, sì, ma non come avrebbe dovuto esserlo nelle intenzioni della regia. Ancora una volta l’approssimazione regna sovrana e all’uscita della sala ci si ritrova confusi, proprio come il professor Langdon all’inizio di questo Inferno che di dantesco non ha proprio nulla.