Quando si assiste ad un documentario sportivo collezionato dal giornalista Federico Buffa si pensa alla nota definizione del perfetto contatore di storie: la gioia della narrazione. In "Louiville Days" Buffa ci racconta il primo capitolo della storia umana e sportiva di Marcellus Cassius Clay discendente di una famiglia di schiavi liberati del Kentucky che nasce a Louisville una cittadina di questo Stato dalle stridenti contraddizioni socioeconomiche. Ma prima di giungere a quel 1942 il giornalista fa un anteprima-excursus ricordando una parte della storia americana - 1865 13 emendamento - e facendola viaggiare a braccetto con la boxe moderna le cui regole furono determinate nello stesso anno.

Boxe ed emancipazione del popolo nero attraverso Johnson e Joe Louis che porteranno a Marcellus Clay il ragazzino nero figlio di papà Herbertt e di Mamma Odessa Grady che parlò e cammino quasi subito e che nel 1954 per colpa del furto di una bicicletta divenne un boxeur.

Un intervento importante

"Che arte drammatica nella vita del nostro" , dice Buffa ricordando quest'episodio dello smilzo e segaligno Clay, ed è questa la forza del narratore di Sky: studia la vita dei personaggi sportivi, li riporta nell'alveo della Storia con la S maiuscola e ci fa vedere che sono le piccoli-grandi storie minime che fanno poi la Storia ufficiale. Sì, perché il genere con cui racconta Buffa è quello della grande epica omerica: con quella ricchezza di dettagli che all'occhio-orecchio del visualizzatore moderno - soprattutto dello sport live - non sempre interessano, ma che costituiscono invece il fondamento che porta e legittima la performance sportiva.

Così come i grandi network di fiction stanno ritornando al "racconto del reale", anche i grandi concessionari di eventi sportivi Live hanno capito che sono la narrazione storico-personale del campione sportivo può restituire il senso dell'impresa sportiva e non lasciarla fine a se stessa. Buffa sa fare questo italian job molto bene, senza licenziamenti dell'immaginazione.