La notizia di una lettera al Presidente del Consiglio, Alla ministra dell’istruzione e al Parlamento, sottoscritta da 600 docenti universitari, sembra suscitare un improvviso scalpore tra gli italiani. Ne parlano i reportage del telegiornale, la news dilaga su tutti i giornali con la consistenza di un ibrido tra la cronaca nera e una denuncia culturalmente più impegnata.
Il contenuto della lettera
Nel testo, ormai noto, che ha spopolato sui social, si denuncia la grave mancanza di nozioni elementari di lingua italiana tra i giovani, nonché forti lacune sintattiche e lessicali e pesanti errori ortografici, anche a livelli di istruzione che dovrebbero essere alti, come quelli universitari.
Si afferma, quindi, la necessità di un sistema scolastico molto più attento all'apprendimento ed efficace sul piano didattico.
Inoltre, si ribadisce quanto sia fondamentale il possesso di competenze linguistiche di base per gli studenti universitari e si propongono una serie di misure per intervenire.
Le cause della crisi
La 'meritocrazia' basata sui titoli ha prodotto un sistema culturale in cui si auspica il perseguimento di una notevole quantità di riconoscimenti e di certificazioni vacui, ma altisonanti e prestigiosi.
Primo fra tutti: il diploma di laurea. Una volta era assai più raro che un giovane proseguisse gli studi dopo le scuole superiori e lo faceva solo chi particolarmente meritevole o motivato.
Oggi è la norma, con rare eccezioni e non vi è più nessuna selezione. Tutto ciò ha portato negli ultimi decenni ad una svalutazione globale dell’intero mondo dell’istruzione, con un forte prolungamento del percorso di studi, che diviene no stop e quasi non si sa se avrà mai fine, perché neanche l’Università sembra più abbastanza, e subentrano sempre nuovi titoli, come quelli derivanti da stage e master universitari.
La ragione principale è, innanzitutto, nell’ impossibilità di un giovane che esce dal mondo della scuola o ancora di più da quello dell’Università, di immettersi in quello del lavoro.
Di conseguenza si preferisce rinviare, così, il drammatico momento di immissione nel triste mondo della disoccupazione, il vero dramma di fondo, alla base di tutto, nella speranza che col passare del tempo le cose cambino e la situazione migliori.
Gli effetti del prolungamento degli studi
Un percorso tanto lungo per aver ragione d’essere prevede, inevitabilmente, un frazionamento dell’istruzione, che si riduce ad un sapere nozionistico, disseminato in lunghi anni, durante i quali si disperde l’essenza stessa del necessario. Tutto sembra utile e genericamente spendibile, ma non si riconosce più la finalità di nulla. Di conseguenza i giovani di oggi sono molto disorientati, demotivati e sfiduciati.
Se avessero ben chiari lo scopo e la finalità dell’istruzione, e se vi fossero maggiori possibilità di trarne un concreto giovamento, sicuramente ciò non accadrebbe.
Tra i diversi mali della società c’è, eufemisticamente, quello che siano (soltanto) i giovani a non conoscere l'italiano, e certamente è una triste realtà, innegabile.
Tuttavia, non è certo questa la piaga più drammatica e urgente da sanare. Ciò che va riformato è l’intero sistema, del quale parte integrante è la stessa ipocrisia dei docenti che li accusano.
Perché far ricadere sui giovani tutto il peso della responsabilità di un sistema che non funziona e del quale sono, invece, vittime?