Ricordo quando - lo trasmettevano su Italia Uno - il fenomeno Twin Peaks entrò nelle nostre vite di ventenni, qualche mese prima che iniziasse un altro tormentone televisivo - quello sì molto reale anche se stupefacente - , la cronaca in diretta della prima Guerra del golfo. In quegli anni quelle immagini lontane dalla cittadina fittizia di frontiera tra il Canada e gli Stati Uniti, ci sembravano un inno al kitsch, ed il telefilm un thriller con punte di horror e fantasy. Ora Mark Frost e David Lynch - i due inventori - ripropongono su Showtime un sequel, e l'effetto alle prime immagini di case di Twin Peaks, più che il kitsch, richiama un trash molto americano.
Prima però c'è il solito cappello dove ricompare un Dale Cooper (Kyle MacLachlan), prima con una Laura Palmer (Sheryl Lee) d'annata, poi con un vecchio che gli fa ascoltare il gracchiare di un grammofono dandogli dei numeri per capire: 4,3, zero. Il dettato narrativo tiene insieme la scenografia di Twin Peaks, dove azioni scoordinate tra di loro non lasciano connessioni: il custode Otis (Redford Westwood) di un scatola di vetro magica che è fissa sul panorama dei grattacieli di New York City viene maciullato insieme alla ragazza Tracey (Madeline Zima), mentre fanno l'amore, da un mostriciattolo; il vicesceriffo Hawk (Michael Horse) riceve dei pacchi da parte di Dale Cooper ventiquattro anni dopo.
Poi la scena s'intervalla con Buckhorne nel Dakota del Sud dove la polizia scopre - dopo una segnalazione di una vicina curiosa - che la giovane bibliotecaria Ruth Davenport (Mary Stofle) è stata decapitata nel suo letto con un corpo che non è il suo e l'intero appartamento è pieno delle impronte di Billy Hastings, un tranquillo preside della cittadina che è apparentemente ignaro della cosa, ma che viene inquisito per l'omicidio.
Il tutto screziato con altre episodi di vita quotidiana con altri di ambienti malavitosi e trash di Twin Peaks. L'impressione è quella di trovarci di fronte ad un calderone che, per ora, non produce nulla di già visto: come se vecchie atmosfere delle precedenti serie si intersecassero con immagini di delitti odierni. Ma in tutto questo bailamme c'è ancora sottesa quell'aura dei primi anni 90 che aveva contrassegnato un nuovo modo di fare fiction.
Non sappiamo se alle nuove generazioni piacerà questo miscuglio o se sarà solo un prodotto per quaranta-cinquantenni vintage. Dopo "Fargo" e "True Detectives" forse i palati degli utenti sono irrimediabilmente mutati.