Charlie Gard è condannato a non vivere. I suoi genitori stanno perdendo la loro battaglia più grande, quella della speranza. Secondo la Corte dei Diritti Umani di strasburgo, la terapia somministrata al piccolo può terminare: i medici del Great Ormond Street Hospital possono sospendere le cure. La storia di Londra, però, non sta suscitando la giusta attenzione sui media europei e internazionali.
Le cure in Usa e la raccolta fondi
Le cure sperimentali per provare a salvare Charlie esistono, ma si praticano negli Stati Uniti. Per questo i genitori del piccolo hanno lanciato una raccolta fondi online riuscendo a trovare i soldi necessari per il viaggio.
Niente da fare: con la sentenza di Strasburgo, Charlie viene condannato a non vivere, vedendosi negata la possibilità di una cura che potrebbe salvarlo.
Già a marzo i due giovani genitori si erano rivolti a un tribunale per opporsi alla volontà dei medici, secondo i quali erano state esaurite tutte le alternative di trattamento disponibili. Poi, ad aprile era arrivata la decisione di staccare la spina da parte dell’Alta Corte. Alle scelte di porre fine alle cure per il piccolo figlio, la mamma di Charlie si è sempre opposta: la strada indicata dai medici, però, veniva confermata a maggio dalla Corte d’appello. A giugno, la Corte europea aveva ribaltato la sentenza della Corte Suprema britannica in favore dei medici: poi, due giorni fa è arrivata l'ultima decisione, ritenuta «definitiva».
Le iniziative per Charlie
“Mettetevi nei nostri panni; sedetevi per un giorno a fianco di questa creatura e cambierete il modo di pensare”, con queste parole il papà di Charlie ha risposto in televisione a quanti avevano criticato la campagna di sostegno alla sua famiglia. La storia di Charlie, a fronte del silenzio dei media mainstream, è stata rilanciata in questi mesi da alcune personalità politiche come Giorgia Meloni e Matteo Salvini e da associazioni pro-life.
Lo scorso 15 giugno è stata organizzata una fiaccolata a Roma proprio per lanciare un messaggio chiaro: non si può lasciar morire un piccolo malato perché ritenuto un costo eccessivo sulla società. Le spese da tagliare sono altre, non si può certo staccare la spina a un bimbo di dieci mesi che lotta per vivere con l’aiuto dei genitori.
La sentenza di Strasburgo e il silenzio dei media
La vicenda di Charlie, però, offre anche un altro doloroso spunto: a far rumore, oltre alla sentenza della Corte per i diritti umani di Strasburgo, è soprattutto il grave silenzio di testate che hanno affrontato sporadicamente e in maniera superficiale la storia di Londra.
Ci si chiede, quando ci si trova di fronte a storie come questa, dove siano le onnipresenti associazioni umanitarie, vere e proprie multinazionali dei diritti umani in ogni angolo del mondo, contrarie alla condanna a morte, ancora presente in troppi Paesi. Forse sta prendendo il sopravvento una vergognosa selezione tra battaglie che a livello mediatico si rivelano più cool da affrontare.
Parallelamente, un’altra pericolosa visione rischia di prevalere: quali esistenze sono degne di vivere? Evidentemente, quella di un bimbo di dieci mesi affetto da una malattia rara non suscita abbastanza interesse e per questo deve essere “scartata”.