Quello che si sta costruendo negli ultimi giorni in tema di rapporti tra Italia e libia è una sorta di magistrale 'velo d'ignoranza' che non sembra dar ragione di mettere in dubbio tanto l'efficacia quanto la bontà d'intenti della nuova missione varata dal Governo italiano, in accordo con la Guardia costiera libica, per il "salvataggio di vite nel Mediterraneo centrale" (ma non solo) e il contenimento dei flussi migratori.
Grazie al discredito delle ong, ora si bloccano i migranti alla frontiera
Quanto al primo punto - l'efficacia, - gli sbarchi sulle nostre coste si sono ridotti, rispetto a un anno fa, passando da 23.552 a 11.459 (ossia, il 57% in meno).
Un dato, però, relativo al mese di luglio - prima, cioè, che entrassero in vigore le procedure di sottoscrizione del Codice di condotta delle ong disposte dal ministro dell'Interno Minniti. Le fonti locali lasciano supporre che le rotte verso l'Italia si siano ridotte per via della "riconversione" di un gruppo mafioso armato interessato fino a un mese fa al traffico di migranti e che ora, sotto il nome di "Brigata 48", pattuglia la striscia di terra in prossimità della cittadina di Sabratha, 70 chilometri a ovest di Tripoli, bloccando i migranti e rinchiudendoli in centri di detenzione simili a veri e propri 'lager'. Luoghi in cui - scrive Mariarosaria Guglielmi, segretario generale di Magistratura Democratica, in un articolo su Repubblica - si verifica una "gravissima e sistematica violazione dei diritti fondamentali delle persone", e in cui "trattamenti inumani e degradanti" sono all'ordine del giorno.
E qui veniamo alla seconda questione: la bontà d'intenti. Stando all'analisi tratta da Lorenzo Cremonesi da fonti della Reuters (Il corriere, 23 agosto), il sistema messo a punto dalla nuova politica migratoria reca i segni della sempre più stretta collusione degli ex trafficanti di esseri umani di Sabratha con "i guardiacoste e le autorità legate al governo di Fajez Sarraj", finanziate nelle operazioni di respingimento dei migranti dall'Italia e dall'Ue (per un totale di 110 milioni di euro), così da contribuire a frenare ulteriormente le migrazioni.
Perché, al di là del fatto che l'idea dello spostamento della frontiera europea in Libia andrebbe a sbattere, secondo l'Onu, contro uno scoglio chiamato "principio di non-refoulement", non è bastato - continua la Guglielmi - dar alimento alla "necessità di 'regolamentare' gli interventi di soccorso per ragioni di sicurezza" e di "mettere sotto accusa l'attività di salvataggio" coordinata dalle ong.
Anzi, questa "criminalizzazione" a carico di chi opera a esclusiva "finalità umanitaria" risponde all'intento di "portare in secondo piano le gravi responsabilità dell'Europa e dei Paesi europei per non aver saputo e voluto sin ad oggi elaborare una politica di gestione del fenomeno migratorio". Eppure, a suo tempo, qualcuno con le idee chiare ci aveva già pensato.
L'olio nero di Tripoli come pegno di concordia
Nella lettera inviata il 23 luglio scorso alle autorità italiane, proprio Sarraj chiedeva il rilancio dell'accordo bilaterale siglato da Gheddafi con l'allora premier Berlusconi nel 2008 (il 'Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione' di Bengasi), che prevedeva la collaborazione tra Marina libica e Marina italiana per il soccorso dei migranti in mare e la gestione dei rimpatri di rifugiati e clandestini (che per la legge libica sono la stessa cosa).
L'accordo impegnava l'Italia allo stanziamento di 5 miliardi di dollari in vent'anni quale risarcimento dell'occupazione militare e l'avallo a un piano di mega-infrastrutture (la costruzione di un'autostrada 'trans-libica' di 2.000 chilometri) per un ammontare di 125,5 milioni di euro. In cambio, per le aziende italiane, nuove succulente intese sul business di petrolio e gas.
Ora, certo, la situazione è cambiata: un governo è affondato, l'altro solo caduto. Ma le relazioni economiche che legano l'Italia alla Libia possono solo essere cresciute. Basti solo ricordare come, all'indomani del cosiddetto 'schiaffo' di Macron all'Italia - la 'benedizione' della stretta di mano all'Eliseo tra Sarraj e Haftar, - l'ad di Eni Claudio Descalzi sia volato a Tripoli il 31 luglio per un incontro con lo stesso Sarraj e, a raffica, con il capo della compagnia petrolifera nazionale libica (Noc) Mustafa Sanalla, di recente tornato in possesso, grazie proprio ad Haftar, dei pozzi petroliferi dell'Est.
O come tanta convergenza con i tredici capitribù sul contrasto ai trafficanti di frontiera a sud della Libia si giustifichi con l'offerta, da parte dell'Italia di prospettive economiche alternative, proprio là dove l'oro nero non manca.
Se dunque vogliamo vedere il bicchiere 'mezzo pieno', ci possiamo limitare a constatare come profughi e immigrati nel nostro paese siano ancora destinati a diminuire: fino al 14 di questo mese, 2.080 sono stati gli sbarchi, contro i 21.294 di agosto 2016. Ma solo perché si sta consumando in un luogo diverso dal Mediterraneo, non abbiamo ragione di credere - contrariamente a Paolo Mieli (Il corriere, 24 agosto), il quale, per non far guerra al passato, la fa contro il presente - che si stia evitando "la catastrofe umanitaria da molti annunciata".
Se non in nome - come si spera e ci si attende - della religione dei Diritti Umani, lo si faccia contro una pace dettata dall'asservimento dei governi agli affari d'intesa di compagnie petrolifere e multinazionali.