È la parola della donna contro quella dell’uomo. Alla fine la maggior parte delle denunce per stupro si riduce a questo. “Liar”, miniserie britannica con protagonisti Joanne Froggatt (“Downton Abbey”) e Ioan Gruffudd (“I Fantastici 4”, “Amazing Grace”) esplora i pregiudizi di genere e quelli sociali, la violenza sulle donne e la violenza sul web, in un melo-thriller a ritmo discontinuo andato in onda proprio mentre Hollywood iniziava a ribellarsi contro Harvey Weinstein.

Trama

L’insegnante Laura ha appena concluso la sua relazione con Tom quando Andrew, padre di uno dei suoi allievi, le chiede di uscire.

“È un chirurgo che guida una macchina sportiva” le fa notare un collega. “Ha quell’aria da padre single e vedovo pensieroso. Non ha tutte le carte in regola?” Già. Andrew è giovane, affascinante, simpatico e soprattutto è considerato da tutti un brav’uomo. La serata tra i due scorre in modo piacevole, lei lo invita a casa, ma qualcosa va storto. Il giorno dopo, mentre lui dice a un amico che spera di rivederla, lei lo denuncia per stupro. Non ci sono prove, solo le due testimonianze a confronto. Entrambi sembrano sconvolti e in buona fede. Spetta alla polizia scoprire la verità. Nel frattempo, però, Laura ha già condannato Andrew sui social network.

Recensione

Una serie TV che non poteva scegliere momento migliore per andare in onda.

“Liar” si è infatti conclusa proprio mentre a Hollywood veniva aperto il vaso di Pandora, le denunce da parte di molte star nei confronti del “Dio del cinema” Harvey Weinstein, accusato di Molestie e abusi sessuali. In questo tumulto la serie risulta interessante perché offre una lente di ingrandimento sulle dinamiche che portano l’opinione pubblica a prendere posizione.

Basta leggere i commenti sui social che hanno visto gli spettatori divisi fino all’ultimo, tra lo stereotipo della donna che denuncia per vendetta o pazzia e quello dell’uomo che approfitta del suo status sociale per nascondere le proprie perversioni. Da un punto di vista cinematografico, però, “Liar” non aggiunge niente di nuovo o di particolarmente pregiato, se non le ottime performance dei due protagonisti, riducendo però una storia di grande potenziale a un semplice melodramma che aspira invano al thriller.

E che, tutto sommato, è destinato a deludere sin dall’inizio. Quale che sia la verità, infatti, promette già la vincita di uno stereotipo. E anche nel caso in cui entrambi siano innocenti e l’assalitore sia un terzo personaggio, il finale sembrerebbe solo una scappatoia che nulla conclude.