Sono circa 800mila i giovani che ogni anno oltrepassano irregolarmente le frontiere per lavorare o studiare negli USA, quasi sempre introdotti da parenti o genitori, nei confronti dei quali la DACA (Deferred Action for childhood arrivals) ha attuato un programma di protezione e della quale il governo di Donald Trump ha chiesto l'eliminazione presso la Corte Suprema. La dinamica giuridica è anomala, il dipartimento di Grazia e Giustizia ha oltrepassato la Corte d'Appello degli stati della California e di New York in merito ad un paio di sentenze, ed ha puntato dritto alla Corte Suprema la quale, però, rigetta la richiesta.

Si rimanda la questione al congresso del 4 marzo, avendo cavalcato uno dei cavalli di battaglia in tempo di elezioni contro Obama, insieme all'abbattimento della riforma-sanitaria (obamacare del 2012) ed alla stretta sull'ingresso degli stati nemici (Muslim ban), la deportazione dei giovani dreamers richiama ad una serie di riflessioni di carattere sociale oltre che umanitario.

Los Angeles si regge sulla forza-lavoro dei messicani, è il terziario a fare numero sulla popolazione globale, tanto che la metropoli, con i suoi quartieri sud americani, assume l'aspetto di uno scacchiere dai quadratini bianchi e neri. Alzando la prospettiva da un punto di vista della Storia Universale, nascono spontanee le domande: non sono forse gli USA un territorio nato e sviluppatosi grazie ai popoli arrivati per mare da altri continenti, soprattutto europei?

La grande mela, ovvero New York come capitale di riferimento, non è forse il crocevia di razze, e sarebbe davvero troppo lungo elencarle tutte, che con il loro lavoro hanno dato la spinta economica al Paese, restituendo al mondo l'immagine della possibile convivenza multietnica? Gli Usa si sono sempre avvalsi di una mentalità meritocratica che riusciva a dare speranza anche ai più poveri, nel rispetto della libertà e della democrazia, oppure anche questo è stato un sogno?

Per una politica di inclusione bisogna monitorare alcuni aspetti

Nello scorso week end Donald Trump ha incontrato i rappresentanti della lobby a favore delle armi, la NRA per intenderci, ed ha ancora ribadito contro il comportamento tenuto dal vice sceriffo che lui, il presidente, anche senza armi sarebbe entrato a difendere la scuola di Perkland.

Nel frattempo dalle deposizioni di Nikolas Cruz, l'attentatore 19enne, emerge la figura di un ragazzo orfano di genitori sud americani, con una rabbia ed una enorme sofferenza psichica, forse eccessivamente minimizzata da insegnanti e compagni di scuola: nei suoi confronti le sole misure adottate sono state l'allontanamento e l'espulsione dal campus. Così, dopo aver acquistato un'arma, nell'apparente normalità di un maggiorenne senza precedenti penali, a sua volta ossessionato dalla paura di essere eliminato fisicamente, ed attuando quel gesto nel giorno che anticipa San Valentino, al contrario di festeggiare l'amore, ha ucciso 17 compagni. I fermenti della politica sociale, quindi, prendono consapevolezza, ancora una volta, di quanto sia pericolosa l'alienazione prodotta dall'essere e dal sentirsi scollegati da un sistema dove, da indomiti riottosi, non si accettano leggi e regolamenti provenienti dall'ambiente in cui si vive.