Tanto tempo fa, una leggenda politica novecentesca descriveva i comunisti come orchi ghiotti di bambini, seminando il terrore tra i pargoli della Russia staliniana e assurgendo ad efficacissima propaganda anticomunista.

Oggi i tempi sono cambiati, ma non poi tanto da allontanare certi concetti favolistici e certe fantasiose allegorie. Oggi, se enfatizzata ed elaborata dalla mente di un bambino, la propaganda elettorale di un personaggio politico che diffonde i suoi ideali con convinzione tale da simulare l’ascesa al potere di premier dietro solenne giuramento su un testo sacro, può serpeggiare, insinuarsi nelle ore notturne e assumere la forma di un mostro minaccioso.

Cambia l’orientamento politico, permane lo spauracchio.

‘Mamma, se vince quello lì mi rimandano in Africa?'

Questo, più o meno, quanto denunciato da una madre adottiva, attraverso una lettera aperta all’onorevole Matteo Salvini. La signora, Gabriella Nobile, ha postato sul suo profilo un messaggio “riconoscente” nel quale ringrazia il leader della Lega per aver creato tra i suoi due bambini di origini africane un clima di angoscia permanente. “Sta regalando ai miei figli dei momenti di terrore davvero fuori dal comune", scrive la donna, aggiungendo che la figlia minore, di appena sette anni, prima di andare a dormire, si rivolge a lei, seriamente preoccupata del proprio destino, qualora “quello che parla male di noi” dovesse vincere le elezioni.

La piccola si riferisce alle promesse elettorali, manifestate con forza, in cui Matteo Salvini sottolinea la priorità degli italiani rispetto agli immigrati e la necessità di “mandare a casa” chi non riconosce e rispetta le leggi del nostro Paese. Messaggi suscettibili di malinteso se decontestualizzati, soprattutto ad opera della fervida immaginazione infantile nonché dall’ignoranza di chi strumentalizza tali questioni.

Come quelle persone a cui si riferisce ancora la signora Nobile, quando descrive la penosa circostanza in cui il figlio maggiore, dodicenne, si ritrova, orgoglioso nella sua bella divisa sportiva, su un autobus che lo conduce all’allenamento di calcio, investito da insulti inappropriati, soprattutto se rivolti ad un bambino.

Insulti come “sporco n*** , n*** di mer***”. E, ancora: “torna a casa tua, venite qui rubare e ammazzare le nostre donne” sono solo un esempio di ciò che il ragazzino è costretto a subire durante le sue trasferte.

Essere italiano è un po' come essere genitore

Al di là delle accuse di xenofobia e di diffusione inopportuna di slogan “ignoranti”, la signora insiste nel sottolineare come la sua condizione di madre adottiva sia dignitosa e rispettabile tanto quanto la maternità naturale. E partendo dalla sua esemplare esperienza, conclude paragonandola al concetto di appartenenza alla Nazione: “L’italiano – scrive - è colui che ama l’Italia, non chi ci è nato!” E continua: “Come io sono mamma perché amo i miei figli e non perché li ho partoriti”.