L'impressione è che il mondo si avvicini sempre di più a una riedizione della guerra fredda. L'impressione è che il Premier britannico Theresa May abbia cavalcato il caso di Sergei Skripal, l'ex spia russa avvelenata nel sud dell'Inghilterra, più che altro per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica d'Oltremanica dalle proprie difficoltà post-Brexit. L'impressione è che il caso le stia sempre più sfuggendo di mano.

Impressioni, per l'appunto: ma, come diceva il divo Giulio, a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

La spia che venne dal freddo

È il 4 marzo scorso quando Sergei Skripal, ex agente del Kgb, viene trovato in stato di incoscienza assieme alla figlia Yulia all'interno di un centro commerciale di Salisbury. Ricoverati d'urgenza, ai due viene diagnosticato un grave avvelenamento da gas nervino: lottano tuttora tra la vita e la morte.

Il caso assume subito i contorni di un giallo internazionale, anche perché Skripal era un doppiogiochista: nel 2006 Mosca lo aveva condannato a 13 anni di carcere per aver passato segreti di stato russi all'MI6, salvo poi rilasciarlo nel 2010 in uno scambio di spie con gli Stati Uniti. Ma non è tutto: i sudditi di Sua Maestà sostengono che l'agente chimico usato nel tentato omicidio faccia parte di una famiglia di gas nervini di nome Novichok, prodotti in un centro di ricerca militare situato nella Russia centrale.

Si tratta, evidentemente, di una prova al più circostanziale, ma per il Regno Unito è sufficiente: in un crescendo di accuse, Londra chiama in causa direttamente il Cremlino, minacciando serie ripercussioni sul piano diplomatico se la Russia non fornirà una spiegazione accettabile: ripercussioni che scattano puntualmente quando Mosca replica stizzita di non avere nulla a che fare con la questione, attuando a sua volta la propria rappresaglia.

Tra i due Paesi è ormai crisi aperta. L'escalation non accenna a rallentare, e la May incassa il sostegno di Unione Europea e Stati Uniti. Si arriva così agli ultimi, recentissimi fuochi: la decisione, da parte di una ventina di Stati nel mondo, di espellere decine di diplomatici russi; e la reazione indignata di Mosca, che definisce l'atto un affronto e annuncia una risposta speculare,

I dubbi sulle accuse britanniche

Il caso Skripal non cessa di alimentare dubbi.

In primis, come si è detto, perché gli attacchi del Governo di Sua Maestà non si basano su evidenze certe - e, del resto, se davvero la Russia avesse lasciato, per così dire, le proprie "impronte digitali chimiche" sull'attentato, tanto sarebbe valso agire in modo manifesto.

Ma è l'intera gestione del caso da parte britannica a lasciare quantomeno perplessi. Non foss'altro perché l'atteggiamento di Londra e dei suoi alleati stride con le regole più elementari del diritto, secondo cui, in base alla presunzione di innocenza, è l'accusa a dover portare evidenze che dimostrino la propria versione dei fatti: mentre nel caso specifico sembra che sia la Russia a essere colpevole fino a prova contraria.

Cui prodest? A nessuno, in realtà.

Il sospetto è che l'Inghilterra si sia trovata tra le mani un'arma di distrazione di massa che ora non riesce più a gestire - anche perché difficilmente potrebbe limitarsi ad ammettere di aver commesso, se non altro, un clamoroso errore di valutazione. Insomma, come l'ex presidente francese Nicolas Sarkozy, secondo la ricostruzione della magistratura d'Oltralpe, avrebbe destabilizzato l'intero quadrante mediorientale nel (vano) tentativo di occultare le evidenze delle tangenti ricevute dal colonnello libico Gheddafi, così anche la May potrebbe pagare lo scotto di una scelta presa praticamente d'impulso.

Un aforisma attribuito ad Alcide De Gasperi (ma probabilmente dovuto a James Freeman Clarke) afferma che un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alla prossima generazione.

Il dubbio, però, è che alcuni tra i principali leader attuali abbiano guardato a malapena al di là del proprio orticello: nel qual caso, potremmo anche trovarci, in un futuro molto prossimo, a dover rimpiangere i politici.