In alcuni villaggi del Kenya, sulle sponde del Lago Vittoria, ogni mese circa 20.000 persone ricevono un piccolo sussidio, pari a 20$ americani, da parte dell’associazione caritatevole GiveDirectly. Questo modesto reddito — corrisponde all’incirca a un quarto dello stipendio medio di una famiglia keniota di ceto basso — è concesso senza alcuna condizione e molto diverso da modalità simili di concessioni che stanno prendendo piede anche in Europa. Chi lo riceve, insomma, non è costretto a cercare lavoro o svolgere mansioni pubblicamente utili. Una misura utile per alleviare la povertà, per fornire una base di sicurezza economica ai beneficiari.

Si tratta di un esperimento portato avanti da GiveDirectly per verificare gli effetti di quello che si è soliti chiamare Reddito Universale di Base (Universal Basic Income - d’ora in poi UBI). Test di questo tipo sono, o sono stati, in atto, con risultati altalenanti e diversi, in varie zone del pianeta: Finlandia, Ontario (Canada), Stockton (California).

I benefici della misura risiederebbero proprio nella concessione di un reddito slegato da qualsiasi requisito particolare, a differenza di quanto avviene normalmente nel sistema di welfare e servizi diffuso un po’ in tutto il mondo. E questo sulla base di una fiducia, o una speranza, nel modo in cui i beneficiari andranno a reinvestire i loro introiti.

I test servono proprio a verificare fino a che punto questa fiducia incondizionata sia ben riposta.

Limiti

Purtroppo i vari esperimenti svolti negli ultimi anni hanno interessato soltanto un numero esiguo di persone e sta ora ai ricercatori provare a prevederne gli effetti su larga scala. Inoltre, è ancora tutto da verificare l’ambito della società in cui un UBI dimostrerebbe di avere i maggiori effetti positivi; se nella sanità, nell’istruzione, o in tutto un complesso di servizi.

Effetto domino

Ma i benefici derivanti potrebbero in breve tempo surclassare i limiti del sistema di UBI. Quello che conta, qui, è l’effetto domino che caratterizzerebbe un’operazione del genere. In poche parole, secondo i ricercatori esiste la concreta possibilità che si avvii un circolo virtuoso in cui, per fare un esempio, all’aumento della stabilità economica delle future madri corrisponderà un aumento della salute dei figli, e la possibilità di proseguire più a lungo gli studi ritarderà il periodo della gravidanza (che significa madri più sane e, di conseguenza, figli più sani), creando le condizioni per un maggior benessere generale.

L’obiettivo che i ricercatori si sono posti è quello di fornire un’analisi quanto più dettagliata e ampia dei possibili effetti di un UBI e questo tramite l’utilizzo di numerosi gruppi, che ricevono differenti modalità di reddito di base, secondo tempi e quantità diverse.

I risultati

Purtroppo, i risultati non sono incoraggianti. Un test portato avanti in Finlandia che riguardava 2.000 individui cui veniva erogato un reddito senza condizioni di 560€) è stato sospeso nell’aprile 2018, a causa dell’inefficacia dimostrata e della spesa troppo alta se confrontata con i benefici stimati. Ci sono, tuttavia, delle riserve sull’adeguatezza del metodo utilizzato dai finlandesi: probabilmente il reddito erogato era insufficiente a coprire le esigenze economiche di un individuo adulto e il numero di persone troppo basso per produrre effetti empiricamente verificabili.

Ma qui forse occorre precisare alcune questioni di fondo, per evitare fraintendimenti. È impossibile che un Reddito Universale di Base venga applicato su larga scala, da qualsiasi nazione, ricca o povera che sia. È semplicemente insostenibile a livello economico. Il problema, quindi, è proprio la scala di applicabilità. Per non pesare troppo sulle finanze di uno stato, l’UBI dovrebbe riguardare una minima parte della popolazione e per un tempo limitato; ma anche in questo caso i benefici per la comunità non sono prevedibili, né è detto che un reddito di base possa essere qualcosa di più di una misura temporanea, i cui effetti non riguarderebbero il lungo termine. Eppure, mai nessun esperimento finora aveva riguardato più di 2500 persone, con una incisività conseguentemente non analizzabile.

In Kenya, invece, la GiveDirectly testa su un campione dieci volte superiore a quello finlandese. I risultati potrebbero contraddire quanto affermato finora.

Un altro ordine di questioni riguarda il livello che l’UBI va a interessare. Se a livello comunitario non si intravedono orizzonti che rendano accettabile l’applicazione della Politica dell’UBI, questa forma di sostentamento solidale rappresenta pur sempre una fonte di approvvigionamento indispensabile per i singoli individui, che si vedrebbero migliorato in maniera considerevole il proprio tenore di vita e le aspettative per un futuro migliore. Ma qui sta il nodo di tutta la questione. Fino a che punto lo stato può interessarsi del singolo senza badare agli interessi di tutta la collettività? La scelta è politica, prima ancora che economica.