La Pubblica Amministrazione, in particolare la scuola, sembra divenire sempre più un esercente commerciale. La P.A. non offre più soltanto servizi dovuti ai cittadini ma anche servizi "commerciali". Non siamo più solo cittadini ma anche clienti dell’ente pubblico. Ma iniziamo con l'analizzare alcuni termini per comprendere meglio cosa intendo dire.
Non studenti ma "utenza"
di Renato Candia*
— Notiziario Eolie (@notiziarioeolie) 6 giugno 2017
Si informa l'utenza che sono aperte le iscrizioni ai corsi di Istruzione per adulti attivati... https://t.co/kkdCQV87Fr
Come si può notare da questo tweet, non siamo più soltanto cittadini.
Non siamo più, in senso pieno, persone che formano un popolo. Non siamo, a ben vedere, propriamente elettori di persone incaricate di guidare il paese. No! Siamo principalmente utenti.
L'utenza
Entriamo in dettaglio e specifichiamo il significato di utenza. Il dizionario online della Treccani definisce Il termine utenza, che deriva dal sostantivo utente, semplicemente come la condizione di utente; utenza indica quell'insieme di persone che usufruiscono di un bene e/o di un servizio.
E ancora (sempre dal Treccani online): il termine è attribuito a chi usufruisce di qualcosa, in particolare di un bene o servizio offerto da enti pubblici o privati. L'utente è poi, generalmente, chi usufruisce di un bene commerciale a seguito di un contratto, altrimenti sarebbe solamente un cliente.
È corretto sostituire la parola “studenti” con “utenza” nelle circolari? Gli studenti appaiono come parte di un “contratto di utenza”: il patto tra Scuola e genitore, il quale decide di iscrivere il proprio figlio (utente) alla scuola il cui PTOF (Piano Triennale di Offerta Formativa) l’abbia convinto.
La scuola e l'offerta formativa
E parlando di PTOF, vorrei soffermami sul termine offerta.
Prendiamo, sempre dal dizionario online Treccani, la definizione di Offerta: sta ad indicare l’atto di offrire. Si può parlare, per esempio, di offerta di denaro, o di aiuto, o di un’offerta spontanea. Accezioni particolari possono essere in contrapposizione al concetto di domanda (comunemente si parla di “domanda e offerta”).
Si può intende il termine offerta come proposta, ad esempio: proposta di lavoro. Entrando ancora più nel dettaglio e nell’uso comune, offerta è spesso sinonimo di proposta da parte del datore di lavoro; quindi, potremmo parlare di offerta come proposta di un contratto. In ambito economico, la serie che viene offerta - a differenti prezzi - di beni e servizi o la quantità massima che un offerente possa offrire vengono definiti come “offerta”.
Quindi le scuole, come ho già scritto in un mio articolo, si presentano all’utenza con un Piano Triennale Offerta Formativa che costituisce “una carta d’identità della scuola”. Uno dei documenti più importanti che il collegio docenti deve sottoscrivere è appunto il PTOF: un documento con il quale la scuola si mostra in vetrina ai genitori per sottolineare quanto vale.
La musica è sempre la stessa: “La nostra scuola è migliore rispetto ad altre perché l’istituto presenta un’offerta formativa più ampia degli altri”.
Scuola e concorrenza
Le scuole, quindi, come tutte le aziende, esibiscono un’offerta con la quale il genitore, ridotto a cliente/utente, potrà decidere quale sia la migliore per il proprio figlio. Ecco, allora, che la scuola è entrata nel magico mondo della concorrenza: non più solo benzinai, negozi, aziende ma anche le scuole. Il PTOF è ormai uno strumento per vincere l’avversario. Non solo, come sarebbe logico, un “supplemento” che esprime nel dettaglio e amplia la formazione prevista dai decreti ministeriali, un extra per studenti e famiglie. Il PTOF è l’arma principale con cui le scuole si muovono nel mondo della concorrenza e le uniche vittime sono gli studenti.
La scuola è sempre alla ricerca di studenti, ma non perché abbia gran voglia di trasmettere la conoscenza; ma semplicemente perché lo studente-utente garantisce introiti vitali: se in una scuola non ci sono abbastanza studenti, ecco il rischio che vengano cancellate alcune sezioni e i professori siano trasferiti. E se le sezioni cancellate sono troppe, il rischio è che si chiuda bottega e allora liberi tutti: docenti, funzionari, dirigenti.
Non sarà dunque il caso di ricominciare a interrogarsi sull’opportunità di chiedere che sia data più importanza alla formazione dei giovani che alle esigenze di cassa? Ciò non sarebbe contro il mercato: più giovani acculturati avremo, più il mercato avrà reali possibilità di divenire fecondo e l’Italia di uscire dalla crisi.