Qualche anno fa la coppia comica foggiana Pio e Amedeo, prima del boom di Emigratis, si dilettava a prendere in giro i personaggi del mondo dello spettacolo con il format Chiunque può: i due fingevano un’intervista interrotta da un passante che comincia ad insultare e mettere in dubbio l’attendibilità delle parole dell’interpellato. Al di là dell’effettiva simpatia del programma, le due parole utilizzate per il titolo sintetizzano una tendenza social-culturale la cui impennata è sotto gli occhi di tutti.

Tendenza le cui evoluzioni sono state analizzate e riprese da un intervento, ormai diventato virale, del filosofo e esponente dem Dario Corallo all'Assemblea nazionale PD di sabato scorso.

Tra le altre cose, Corallo ha attaccato la totale mancanza di capacità del Pd di leggere e capire le radici di questo atteggiamento diffuso, preferendo rintanarsi in un atteggiamento blastatore, "come un Burioni qualsiasi", citando l'immunologo come esempio negativo e scatenandone la reazione.

Internet e la conoscenza

Grazie alla Rete, alla condivisione e alle tecnologie smart, quell’enorme nebulosa che è la conoscenza umana - o presunta tale – è diventata accessibile a un’enorme gregge di persone. Persone comuni, spesso senza preparazioni specifiche per poter giudicare la genuinità delle informazioni ricevute, che di colpo scoprono di potersi improvvisare medici, economisti, architetti, giornalisti.

Politici. Professioni da sempre elitarie e nobili, diventate fragili, aggredibili dal cittadino informato e il suo iPhone. Invidia sociale e sovrastima delle proprie capacità fanno il resto: chiunque può, perché l’ho letto su Facebook. Perché non mi fido delle istituzioni. Perché se lo puoi fare tu, lo posso fare anche io.

Di fronte a questa offensiva senza precedenti alla credibilità di chi sa perché ha studiato, i rappresentanti delle varie professioni hanno contrattaccato seguendo una falsariga comune.

La celebre invettiva di Umberto Eco in cui l’ondata descritta viene minimizzata a "legioni di imbecilli" è il mantra abbracciato più o meno da tutti i difensori del sapere, inteso come prestigio conquistato e da proteggere. E così chi pretende di poter dire la sua senza le competenze necessarie viene umiliato, bollato come professore da tastiera, ignorante, populista, fino al classico capra di sgarbiana memoria.

Raccogliendo approvazione e likes di studenti e intellettuali che sono – per convinzione o per possibilità – dalla stessa parte della barricata. Cioè quella della scienza, dello studio come sforzo, come percorso nel tempo ma anche come privilegio non necessariamente da condividere.

Ha davvero senso avvelenare il clima?

Tuttavia, questo atteggiamento bellicoso, divisivo e a tratti arrogante non fa altro che ingrassare le legioni di nuovi militanti, contribuendo ad alzare i toni della contrapposizione fino a livelli ormai diventati ingestibili. Dire a un ignorante che è ignorante non lo renderà di certo Diderot, anzi porta la discussione su un piano puramente ideologico. Il clima di insofferenza generale aumenta in entrambe le fazioni, una pentola a pressione che trova sfogo soprattutto, ovviamente, sui social network.

Questa recente polemica - seppur con tutte le specificità del caso - non è altro che un'ulteriore conferma di questa diatriba aspra, scorretta, spesso farcita di insulti e esposizione al pubblico ludibrio. Da entrambe le parti.

Continuando ad allargare la discrepanza culturale e sociale già esistente, inasprendo i contrasti invece che sedarli, si rischia di arrivare a un punto di non-ritorno le cui conseguenze sono totalmente imprevedibili. Soprattutto perché lo scontro poggia su una disparità numerica, più o meno netta a seconda delle declinazioni ma spesso in favore delle "legioni". E in democrazia non si tratta di un particolare da poco.